IL LAVORO DEL SOLE DI AGOSTO |
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Rapporto confidenziale a cura di Carmelo Romeo . 2019
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8 . Il giorno lunedì 12 agosto 2019, D ha scritto a B :
.................[ Il testo originale della mail spedita, annotato e glossato ] Scrivo solo a te al proposito di quella che tu stesso hai valutato “una interessante catena di mail” sulla questione che A - non a caso - ha definito “eterna”, appunto per spezzarla (come da nostra abitudine nel trattare ogni catena) o almeno per chiarirla (come piuttosto suggerisci tu). Devo anzitutto osservare che tanto facile mi scatta il tasto dell’ironia quanto difficile sembra poi ad altri riconoscerla (o forse solo trovarla irritante). Così, ad esempio: chiudendo la mia mail (D.4) con: “Se pensate che sia il caldo a farmi parlare così, fatemelo sapere: correrò ai ripari con docce fredde e frizioni frontali”, credevo di aver raccolto tutto nel fagotto della leggerezza riflessiva ed evitarmi delle reprimende (che invece ho ricevuto, senza però accompagnate dalle facili confutazioni promesse, che pure ero ansioso di conoscere – dato che ripetere che la “biforcazione è misurabile” non confuta e non significa nulla). E visto che io stesso mi ero preparato la corda dove impiccarmi, si poteva usarla senz’altro invitando a rinfrescarmi le idee come più preferivo e risparmiarsi così ulteriori commenti. Evidentemente il perlage dell’ironia non è gradito a tutti i palati (ma non prometto di tenerlo presente in futuro). Non credere però che il modo “leggero” di dire ciò che ho detto sia stato il lancio sbarazzino di alcune infondate opinioni: per quanto caricato di dubbi io non avanzo opinioni prive di qualche fondamento in questioni come le nostre, solo ipotesi o asserzioni di cui sono convinto - suppongo e spero tutte ponderate con quanto finora si è sufficientemente stabilizzato nella mia conoscenza (e per quanto è concesso ai miei neuroni e alle loro imprevedibili connessioni sia logiche o routinarie che euristiche o intuitive) [1]. In più – lo confesso – siccome mi piace correre il rischio di pensare, se annuso appena la possibilità di aria pulita nello stravolgere gli assetti di un procedere consuetudinario, azzardo a volte anche delle “provocazioni”... così! tanto per aprire qualche spiraglio verso l’esterno, giustappunto per rinfrescare i gas dell’ambiente e rimescolare i neuroni pigri. Dovrei forse chiedere scusa e contenere certe mie intemperanze dell’immaginazione, ma credo che Bordiga o Einstein le sopporte-rebbero benevolmente, dato che ne hanno fatte di ben più dirompenti – e non credo che oggi n+1 faccia a meno di farne. Rimescolare i neuroni è appunto un prezioso lascito per tutti noi. Devo dunque riconoscere che tu sei stato più bravo di me a confezionare tutto in un modo più garbato e opportuno: “Spero di non avervi confuso ancor di più, ma anche in tal caso potrebbe essere un effetto utile... a rimescolare in modo caotico ma deterministico i vostri neuroni” (B.7 - noto qui che hai avvertito anche tu la necessità di richiamare in ‘chiusura’ al determinismo – vuol forse dire che almanaccare oltremodo con certi termini potrebbe farlo vacillare?). Non entro nei meriti di certe formulazioni discutibili sparse nel corso di questa catena di mail; come, ad esempio, il ricorso all’argomento che “a noi non conviene” (C.3) (dato che tutto ciò che è fatto ad hoc è sempre una contraffazione ideologica buona solo per la scienza cargo) e sarebbe più salutare per tutti piantarla qui riproponendo di colpo il tuo stesso augurio, cioè: alla fine penso che ci siamo intesi. Tuttavia… Tuttavia – anche a rischio di fare la figura patetica di chi è costretto a spiegare le barzellette appena raccontate senza aver suscitato alcun effetto ilare – devo anzitutto respingere assolutamente la paternità di una banalità come quella (fors’anche condivisa per compiacenza) di aver voluto io ricordare ai compagni che “non siamo studenti o professori di fisica ma comunisti” (E.5).
Dunque: il movimento reale è già determinato?... possiede già l’informazione che farà scattare una soluzione al posto dell’altra? Tuttavia, da questa intesa rimarrebbe fuori non solo il senso sintattico delle parole utilizzate con il loro significato scientifico ma anche… il determinismo – dato che a questo ci si riferisce dicendo che “i testi non ci danno ragione” (E.5, C.3).
Con le ragioni degli altri noi ci facciamo la zuppa ! [11] – Ecco, per così dire, ricostruito, argomentato e “circostanziato” (come richiesto) dall’inizio alla fine l’oggetto realmente proposto alla nostra osservazione e il campo nel quale collocare la riprovevole palla categorica giocata in favore di un determinismo del ‘non cale’, duro e crudele verso quella libertà degli sperimentatori/intervistatori che ha fatto sorridere anche te [12]. >
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Difatti, è forse libero un fisico sperimentatore di interrogare la Natura sulla morte di Kurt Cobain? Tutti capiscono che sarebbe una ridicola assurdità, ma così la sua pretesa libertà di sperimentare è andata a farsi friggere.
La libertà dello sperimentatore di fare domande alla Natura può estendersi ed avere magari gli stessi incalcolabili gradi di libertà che ha avuto la Natura nel fare sé stessa fino ad essere così come attualmente è, e non come avrebbe potuto o voluto essere [13]. Se astraiamo da ciò che essa è, astraiamo noi stessi da ciò che siamo – direbbe Marx, ne La sacra famiglia, credo – e allora non possiamo neppure porci più alcuna domanda. Che séguito dare alla dichiarazione di un assassino che si difende dicendo che se il revolver si fosse inceppato (cosa possibile e anche frequente) quel cadavere lì non ci sarebbe stato? … misurargli la biforcazione?... Dennett parla di “possibilità” genetiche, ma non credo le riferisca alle possibilità della natura ma a quelle dell’ingegneria genetica dell’uomo – alla quale potremmo anche far dono di un nostro principio e confidargli che vale per la genetica quanto vale per la rivoluzione: entrambe si possono dirigere ma non fare, neppure avendo il programma. Al DNA del dinosauro di Jurassik Park manca il corpo accogliente di un dinosauro vivo, ossia il trasduttore esecutivo congiunto all’accolta di elementi necessari per attualizzare concretamente il programma contenuto nella sua doppia elica; e la cellula somatica della pecora Dolly ha avuto bisogno di ben tre madri per portare a compimento il suo programma. Riguardo infine a sconsiderate “affermazioni categoriche”, dopo aver letto la tua ottima mail (in cui ho verificato tutta l’ambiguità nel definire i termini in questione e la problematicità di usarli senza prima accordarsi e convenire provvisoriamente sulla loro accezione) mi è proprio venuto il ghiribizzo di farne giusto qualcun’altra: 1) il caso è una delle modalità del determinismo causale - effetto del disappunto e dell’impazienza dell’uomo, che vorrebbe (pre)vedere i fatti accadere quando più gli fa comodo… [sembrerebbe rispondere ad una ‘necessità’ atavica responsabile dell’insorgere del pensiero magico, di cui ancora non ci si libera]. – Da qualche parte Trotskij ha detto che la pazienza è una virtù rivoluzionaria. Ecco: potrebbe essere che sia anche un virtù scientifica. [14] 2) la biforcazione (in un sistema lineare o reticolare continuo) prevede sempre una unica risultante nella quale risolversi e dissolversi… Una zip esplicita il suo essere reale nel lampo della chiusura, non nelle sue due componenti separate, che esprimono solo la potenzialità della zip… – Marx dice reale un vestito solo quando lo si indossa… nei Grundrisse, credo... Intanto a noi qualcuno dice che però le biforcazioni si presentano “con frequenza nella storia dell’universo”. Il fatto è che anche con altrettanta frequenza esse finiscono le loro lampeggianti carriere nel “repertorio ontologico” (e paleontologico) dell’universo giubilare … proprio come Geppina ragazza di fumo … la vedi… e non c’è più!...[16] Caro B, devo averti annoiato abbastanza, ma, essendo certo che alla fine ci siamo intesi, puoi tranquillamente ignorare quanto ho scritto ed evitarti così un qualunque tipo di risposta. Magari, se capiterà, semplicemente ne parleremo.
L’ipotesi potrebbe modellizzarsi nel modo seguente [17]. E’ interessante notare che le proiezioni sull’asse blu delle retroazioni negative (contro-rivoluzionarie) dirigono la loro spinta verso l’omeostasi inferiore, tuttavia (e si vede chiaramente nel grafico) il loro “lavoro” ha un effetto di rinforzo delle spinte del ramo rosso delle retroazioni positive (rivoluzionarie – svolte dal movimento del Capitale – con effetti di auto-rinforzo), incrementando così la spinta risultante per l’accelerazione necessaria a modificare decisamente il moto rettilineo dell’attuale stato delle cose nel punto 0, o di catastrofe morfologica. (Alla fin fine: “o tutto o niente”)... E’ forse così rappresentato, cioè, anche il concetto per cui il capitalismo è costretto a rivoluzionare sé stesso, e quello particolare per cui Bismarck ha lavorato per noi… e simili? [18] |
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[1] . Non so dire se in questa circostanza abbia preso la parola il succo combinato di quali lontane letture, o magari anche di una in particolare (come ad esempio Il caso e la necessità, che ora ha avuto il merito di farmi recuperare l’articolo di Programme Communiste, che aveva demolito sul nascere questo best-seller da premio Nobel) ma sul momento davo per implicite o intuitive certe argomentazioni, e quindi superfluo il circostanziarle.
Tuttavia, anche non avendo nessun interesse ad essere convincente, cercherò in queste note di districare i pensieri, o tentare di farlo attraverso qualche reminescenza forse responsabile (direttamente o indirettamente, vedremo) del mio sconsiderato parlare, e capire così quanto poteva esserci entrato di conoscenza e quanto di opinione. In queste note aggiunte, il testo di Monod sostiene il ruolo di tutti quei “testi che non ci danno ragione”. E dato che non ci interessa l’onorabilità degli scienziati ma l’onore delle scienze della natura, ho comunque riletto e anche utilizzato il suo testo, fiducioso che qualche lapsus di informazione scientificamente corretta, e dunque involontariamente utile alle nostre ragioni, doveva pur esserci tra le macerie lasciate dalla sua demolizione definitiva da parte della nostra corrente. [2] . Non so descrivere come praticamente questo si possa perseguire; riesco solo a dire che potrebbe iniziare, ad esempio, anche così come ha fatto B: richiamandosi al nostro grafico per cogliere il senso da dare alla nozione di biforcazione… o anche partendo, o almeno non prescindendo da quanto già trattato al proposito dalla nostra corrente – ad esempio nell’articolo citato da Programme Communiste (vai). [3] . Si può introdurre qui una reminiscenza di ambito evoluzionista che tratta del dibattito circa l’adattazionismo: «.Il panglossianismo non funziona perché pone la domanda sbagliata, vale a dire: “Che cosa va bene?” (...) L'alternativa è respingere in tutto e per tutto questa teleologia. Invece di domandare: “Che cosa va bene?”, domandiamo: “Che cosa è successo?” La nuova domanda fa tutto quel che è prevedibile che faccia la vecchia, e molto altro in più.» (Michail Ghiselin 1983). A ciò commenta Dennett: «.Ghiselin si inganna. Non esiste una sola risposta alla domanda “Che cosa è successo (nella biosfera)?” che non dipenda in maniera cruciale dai presupposti riguardo a ciò che va bene. Come si è appena notato, non si può neanche usufruire del concetto di omologia senza adottare l'adattazionismo, senza assumere l’atteggiamento intenzionale. Qual è ora il problema? Il problema è come distinguere l’adattazionismo buono - insostituibile - da quello cattivo, come distinguere Leibniz da Pangloss.» (D. Dennett, L’idea pericolosa…, cit., pag.304). Questa osservazione di Dennett ci dà modo di risolvere la fila delle domande corrette da porsi nella nostra discussione circa le opzioni o le determinazioni dell’agire delle spinte rivoluzionarie, dato che nel nostro caso possiamo (quasi) assolutamente dire di sapere (più o meno precisamente o sostanzialmente) “che cosa è successo” ed ottenere una sola risposta: sconfitta della rivoluzione e vittoria della controrivoluzione … Abbandonato il campo delle incertezze, tanto o quasi tutto dei fattori messi in ballo in quelle contingenze dell’ottobre si riducono nelle loro possibilità di realizzarsi diversamente, fino a raccogliersi esclusivamente nell’attività neuronale… con la quale possono tuttavia svolgere un lavoro negli esperimenti mentali da cui trarre benefici per la comprensione circa i fatti già accaduti (ad es. lezioni delle controrivoluzioni)…. [Panglossismo – Nel Candido, Voltaire ideò una famosa – quanto eccessiva e ingiusta – caricatura di Leibniz: il dottor Pangloss, lo stolto erudito in grado di razionalizzare qualsiasi calamità o deformità (dal terremoto di Lisbona alle malattie veneree) e di dimostrare che, senza alcun dubbio, è tutto a fin di bene. E in linea di principio nulla può provare che questo non è il migliore dei mondi possibili. Stephen J. Gould e Richard Lewontin hanno creato il soprannome memorabile di "paradigma panglossiano" per gli eccessi dello adattazionismo, facendo tutto il possibile per metterlo in ridicolo lontano dal palco della scienza seria. Non sono stati i primi a usare "panglossiano" come termine critico nell'ambito della teoria evolutiva. Il biologo evolutivo J. B. S. Haldane redasse un famoso elenco di tre "teoremi" del ragionamento scientifico scorretto: il teorema di Bellman ("Quel che vi dico tre volte è vero", tratto da La caccia allo Snark,di Lewis Carroll), il teorema della zia Jobisca ("E' un fatto che tutto il mondo conosce", tratto da The Pobble Who Had No Toes, di Edward Lear) e il teorema di Pangloss ("Tutto è a fin di bene in questo che è il migliore dei mondi possibili", tratto da Candido di Voltaire). John Maynard Smith ha poi usato l'ultimo teorema soprattutto per denominare d'antica fallacia panglossiana secondo cui la selezione naturale favorisce quegli adattamenti che sono buoni per la specie nella sua totalità più che agire al livello dell'individuo ]. [4] . Russia e rivoluzione nella teoria marxista, ed. Programma Comunista, Milano 1990, p. 216. E ancora in Lenin possiamo trovare già scritte nel 1919, con un secolo di anticipo, le condizioni rivoluzionarie determinate (al contorno) che valgono anche per l’attuale transizione di fase: «.Esiste poi l’altra condizione per la rivoluzione, oltre alla preparazione del proletariato, cioè la crisi generale di tutti i partiti di governo e di tutti i partiti borghesi.» (I compiti fondamentali dell’internazionale comunista, versione preparatoria per il II Congresso approvata il 4 luglio 1919; in V.I. Lenin. Opere complete, XXXI, Ed. Riuniti, Roma 1967, pag. 182) - (vedi). [5] . Struttura frattale delle rivoluzioni, cit. Per le condizioni al contorno, vedi anche René Thom 1980, Parabole e catastrofi, ed. Il Saggiatore, Milano, p.55 (vedi): «Penso che per una classe molto vasta di sistemi ci dovrebbe essere un teorema che stabilisca che per quasi ogni scelta della storia delle entrate [in una scatola nera], la nuvola di punti tende verso una distribuzione delle probabilità unica e ben definita», è il parere del ‘padre’ della teoria delle catastrofi [il quale, per altro, preferisce definirla una metodologia “che sceglie, nell’insieme degli algoritmi matematici, quello che le appare più adatto alla situazione considerata”, piuttosto che una teoria (ivi. p.91 seg.)]. – Cfr. inoltre la trattazione di Caso, Necessità, Probabilità, in Come il signor Monod…(vedi). [6] . Non è forse così che si farebbe null’altro che dello “scientismo”? Ma neanche riconducendo tutto ad uno scrupolo scientifico di puntualizzare riesco a spiegarmi l’ampliamento delle bordate. [7] . «…giudico fondata non soltanto l'ipotesi che in realtà i modelli basati su semplificazioni “eccessive” spiegano spesso esattamente ciò che necessita di una spiegazione, ma anche che nessun modello più complicato sarebbe in grado di farlo. Quando ciò che provoca la nostra curiosità sono i grandi schemi di fondo dei fenomeni, abbiamo bisogno di una spiegazione al livello giusto. In molti casi è ovvio. Volendo capire perché gli ingorghi stradali tendono a generarsi alla stessa ora tutti i giorni, lo sconcerto non passerà ricostruendo minuziosamente tutti i processi di sterzo, frenata e accelerazione delle migliaia di traiettorie che, combinandosi insieme, hanno creato gli ingorghi.» (Dennett, cit. p. 128). – Per altro, senza la capacità di “semplificare” sarebbe stato arduo prefigurarsi e prevedere una futura unificazione della conoscenza. – Sto trovando utile questo testo di Dennett (per altro indicato come “bello” da S. Kauffman) non perché lo ritenga oltremodo autorevole e indiscutibile, ma perché offre una rassegna su tutta una serie di questioni che quasi tutti i rami della scienza attuale si sono posti e si stanno ponendo – qui particolarmente nel loro rapporto con le più recenti sistemazioni della teoria dell’evoluzione. [8] . Che in fondo è la proiezione geometrica di una generica alternativa offerta all’arbitrio della decisione. Di solito è proprio così, come un bivio con il suo aut aut, che ci rappresentiamo mentalmente possibilità perdute o guadagnate per un pelo o per un caso… E allora la biforcazione si becca “lo stesso trattamento che [i marxisti] riservano al determinismo stile Laplace, secondo il quale la necessità nega radicalmente la casualità: sulla scorta di Hegel i marxisti comprendono non solo che la necessità è causa della casualità e che la casualità è causa della necessità, ma che la categoria dialetticamente superiore in cui si risolve questa opposizione apparente, ‘esteriore’, non è altro che la possibilità reale o, come si dice oggi, la probabilità.” (Come il signor Monod…, cit.). [9] . Leggendo quanto Wikipedia riporta sul caso, non si direbbe proprio che questa singolarità se la passi troppo bene; da una parte il caso è ridotto ad un assoluto in quanto causa indefinibile (ma non è una tautologia che non spiega nulla?), dall’altra consunto dall’improbabilità … ma pur sempre in balia ad un deterministico caos. Ad ogni modo ecco sempre la “causa” (richiesta dal determinismo) del fenomeno indefinibile (casuale) spiegarsi deterministicamente […e operare come nell’introduzione di costanti fisiche o matematiche nei calcoli di misurazione, deterministicamente legate all’interpretazione di un fenomeno, e con un significato specifico all'interno del modello teorico che le definisce?] «.L'apparente contraddizione (o paradosso) contenuto nel termine caos deterministico, ha molto incuriosito anche il pubblico dei non specialisti. I modelli matematici di tipo deterministico vengono in genere associati all'idea di fenomeni regolari, prevedibili, che si ripetono nel tempo, mentre il termine caotico viene riferito a situazioni caratterizzate da assenza di regole e da imprevedibilità. La scoperta del caos deterministico spezza questa dicotomia, in quanto mostra come modelli matematici deterministici (cioè privi di ogni elemento aleatorio nelle equazioni che li definiscono) sono in grado di generare andamenti estremamente complessi, sotto molti aspetti imprevedibili, tanto da risultare quasi indistinguibili da sequenze di eventi generati attraverso processi aleatori… Da questi andamenti, si intuisce l'origine del termine caos deterministico: sebbene i valori delle x(t) siano ottenuti attraverso l'applicazione ripetuta della funzione f - un meccanismo puramente deterministico - questi sembrano susseguirsi in modo apparentemente casuale, senza alcuna regolarità o ricorrenza.» (matematica.unibocconi.it/caos/) [Quest’ultima considerazione potrebbe essere una ‘prova’ che conferma come la quantità (es. ripetizione della funzione f ) modifica la qualità (della funzione f) ? … così come anche il percorso, o il procedere di enunciazione algebrico nel calcolo differenziale, modificherebbe la qualità del risultato, dedotto o indotto – come credo intendesse dimostrare Marx nei suoi manoscritti matematici ]. [10] . Anche se attualmente prevale la tesi che l'indeterminismo quantistico rifletta una caratteristica intrinseca della natura, ci furono occasioni, quali le lezioni tenute all'università di Chicago nel 1929, in cui Heisenberg sostenne che è la nostra conoscenza del mondo microscopico a essere indeterminata: «Le relazioni di indeterminazione riguardano il grado di esattezza raggiungibile nella conoscenza dei valori assunti simultaneamente dalle diverse grandezze che intervengono nella teoria dei quanti...» (Werner Karl Heisenberg, 1930, corsivo nostro). Heisenberg non ha mai parlato di un ‘principio’ di indeterminazione, ma di ‘relazioni’ di indeterminazione insorgenti per la misurazione. «.Comunque sia, si deve sottolineare che, se anche il principio di indeterminazione dovesse un giorno essere abbandonato, tra il determinismo, sia pure totale, di una mutazione di sequenza nel DNA e quello degli effetti funzionali di quest’ultima a livello delle interazioni della proteina, si potrebbe ancora scorgere soltanto una ‘coincidenza’ assoluta… L’avvenimento resterebbe quindi nell’ambito del caso ‘essenziale’. A meno, naturalmente, di non voler tornare all’universo di Laplace dal quale il caso veniva escluso per definizione…». Tuttavia… leggi più avanti il proseguo di Monod, qui alla nota 18; ma soprattutto in Come il signor Monod…: « Le famose ”relazioni di incertezza” di Heisenberg inficiano così poco il determinismo (!) che servono anzi a definire proprio i margini di incertezza, come per esempio la posizione di un corpuscolo di cui è nota la velocità (o inversamente), laddove non è possibile conoscere simultaneamente entrambi i dati: è chiaro che se la regola dei fenomeni fisici fosse... “l’incertezza fondamentale”, la “gratuità”, e a maggior ragione la “libertà” (!) tanto care ai Sartre-Monod, quest’operazione sarebbe del tutto arbitraria e votata al fallimento. Ma non è così!.» [11] . Non è stato forse Bordiga a dirci che non ci sono due scienze ma solo una scienza borghese? Per altro, neppure il pensiero borghese confida troppo della correttezza delle proprie narrazioni scientifiche. Vediamo cosa ne dice: «.La storia, se fosse considerata come qualcosa di più che un deposito di aneddoti o una cronologia, potrebbe produrre una trasformazione decisiva dell'immagine della scienza dalla quale siamo dominati. Fino ad oggi questa immagine è stata ricavata, anche dagli stessi scienziati, principalmente dallo studio dei risultati scientifici definitivi quali essi si trovano registrati nei classici della scienza e più recentemente nei manuali scientifici, dai quali ogni nuova generazione di scienziati impara la pratica del proprio mestiere. È però inevitabile che i libri di tal genere abbiano uno scopo persuasivo e pedagogico: una concezione della scienza ricavata da essi non è verosimilmente più adeguata a rappresentare l'attività che li ha prodotti di quanto non lo sia l'immagine della cultura di una nazione ricavata da un opuscolo turistico o da una grammatica della lingua.» (Thomas Kunh 1962, introduzione a Struttura delle rivoluzioni scientifiche, corsivi nostri). E, ancora: «.Nel caso della teoria della relatività l'autore di una spiegazione didattica ha un ulteriore incentivo per abbreviare il periodo di dubbio e di incertezza della comunità scientifica che seguì la memoria di Einstein del 1905. Ci si può aspettare che uno studente accetti più facilmente una teoria così lontana dal senso comune come quella di Einstein se gli si può mostrare che Einstein, o almeno i suoi lettori, furono convinti in base a qualche esperimento definitivo.» (Gerald Holton 1978, L’immaginazione scientifica, Einaudi 1983, p.191). –> |
Marx stesso, ha dovuto (diciamo così) ‘ristoricizzare’ il calcolo lagrangiano del differenziale (tuttora in uso nella fisica quantistica delle particelle) per depurarlo dagli elementi metafisici e utilizzarlo “dialetticamente” nel Capitale: «.Qui come lusus historiae mi limito a osservare soltanto che Lagrange non risale affatto alla base stabilita da Taylor – vale a dire al teorema del binomio … Ancora molto meno egli procede più indietro e si chiese perché il teorema del binomio di Newton, tradotto in forma differenziale e al tempo stesso liberato con un atto di forza dalle sue condizioni algebriche, appare come formula operativa generale riassuntiva del calcolo da lui fondato…Lagrange invece segue direttamente il teorema di Taylor, naturalmente da un punto di vista in cui da una parte i successori dell’epoca newton-leibniziana gli avevano già fornito la versione corretta dell’espressione, dall’altra egli proprio nell’algebrizzazione della formula di Taylor produsse la sua teoria delle funzioni derivate. Così Fichte seguì Kant, Schelling seguì Fichte, Hegel seguì Schelling, senza che né Ficht, né Schelling, né Hegel avessero discusso la base generale di Kant, cioè l’idealismo: altrimenti non avrebbero potuto continuare a svilipparlo.» (Karl Marx, Manoscritti matematici, Dedalo Libri, Bari 1975, pgg. 164 seg.).
Scrive Augusto Ponzio nell’introduzione a questi scritti: «.Marx è soprattutto interessato a mostrare come la negazione che opera nell’operazione differenziale, ove questa venga liberata dalla sua impostazione metafisica, si rivela come negazione di tipo dialettico… Si tratta di dimostrare come il rapporto [0/0]… non conduce al puro nulla con cui ‘non c’è nulla da fare’, ma a risultati effettivi… Per Marx, per il quale invece il rapporto [0/0] è rapporto fra differenze finite, la “discesa nell’inferno dello 0/0” è inevitabile: la negazione è un fatto reale e si tratta di spiegare come attraverso di essa, come nel caso generale della negazione della negazione, si pervenga a risultati effettivi.» (ibidem, p. 28 sg.). Ed è tanto per mostrare come la “nostra” critica ha necessità di investire di sé ogni ramo del conoscere, anche in sede di preparazione del suo programma pratico. – Consentitemi ora di fare una commutazione dei termini algebrici con quelli qui da noi messi in ballo: … la discesa nell’inferno del caso o della biforcazione è inevitabile: la negazione è un fatto reale e si tratta di spiegare come attraverso di essa, come nel caso della negazione della negazione… si pervenga a risultati effettivi… ecco che ciò che è risolve e dissolve ogni ciò che poteva essere – il che, per inciso, pende pericolosamente verso un doveva e un ciò che dovrebbe essere, ossia propende all’etica, alla morale. «.I filosofi non hanno dimostrato che non si può mai derivare come “dovrebbe essere qualcosa da come “è”, indipendentemente da quanti passi si compiono?.»... Ecco: in determinate enunciazioni significative, caso o biforcazione forse stanno tra questi passaggi 'narrativi'... quasi fossero delle traiettorie immaginate tangenti la curva della linea di universo... [12] . A sostegno del tuo sospetto di opportunismo da parte loro, ti segnalo che è discusso ampiamente da Dennett, il quale apre un intero capitolo proprio con l’intento di scovare il pensiero segreto di Gould: «.Ma il punteggiamentismo moderno - specie nelle sue applicazioni alle stravaganze della storia umana - dà risalto al concetto di contingenza: l'impossibilità di prevedere la natura della stabilità avvenire e la capacità delle personalità e degli eventi contemporanei di modellare e dirigere la strada effettivamente presa tra le miriadi di possibilità.» (Stephen Jay Gould, Life in a Punctuation, in Natural History, CI 1992, p.21). «.In questo brano – commenta Dennett - Gould non parla soltanto di imprevedibilità ma della capacità delle personalità e degli eventi contemporanei di modellare e dirigere la strada effettivamente presa dall'evoluzione. Ecco un'eco perfetta della speranza che guidò James Mark Baldwin a scoprire l'effetto [in un paesaggio epigenetico con un unico picco] che oggi porta il suo nome: in qualche modo dobbiamo rimettere la personalità – coscienza, intelligenza, azione – nella posizione di comando. Se soltanto si arrivasse a dimostrare la contingenza – una contingenza radicale – questo darebbe alla mente un poco di libertà di movimento, in modo da poter agire, ed essere responsabile del proprio destino, invece di essere il mero effetto di un'irriflessiva cascata di processi meccanici! Vorrei suggerire che questa conclusione è la mèta definitiva di Gould, che si rivela negli ultimi percorsi che egli ha esplorato.» (Dennet, cit. p.378). [13] . A me sembra proprio che anche un sostenitore del caso ad oltranza è costretto, prima o poi, a capitolare davanti al determinismo: «.Gli eventi iniziali elementari, che schiudono la via dell'evoluzione ai sistemi profondamente conservatori rappresentati dagli esseri viventi sono microscopici, fortuiti e senza alcun rapporto con gli effetti che possono produrre nelle funzioni teleonomiche. Ma una volta inscritto nella struttura del DNA , l’avvenimento singolare, e in quanto tale essenzialmente imprevedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e trasposto in milioni o miliardi di esemplari. Uscito dall’ambito del puro caso, esso entra in quello della necessità, delle più inesorabili determinazioni. La selezione opera in effetti in scala macroscopica, cioè a livello dell’organismo. Ancora oggi molte persone d’ingegno non riescono ad accettare e neppure a comprendere come la selezione, da sola, abbia potuto trarre da una fonte di rumore tutte le musiche della biosfera. In effetti, la selezione agisce sui prodotti del caso e non può alimentarsi altrimenti; essa opera però in un campo di necessità rigorose da cui il caso è bandito. Da queste necessità, e non dal caso, l’evoluzione ha tratto i suoi orientamenti generalmente ascendenti, le sue successive conquiste, il dipanarsi ordinato di cui offre apparentemente l’immagine.» (J. Monod 1970, Il caso e la necessità, cit. p.99). Ora, noi non possiamo non dirci attualizzati e in preda a tutte le necessità, senza per questo dirci attualisti a oltranza... Darwin o Marx partono da questo ora (il loro metodo di analisi è induttivo) e non dall’inattuale per capire e cercare di capire… anche il futuro. Ed è una partenza valida tanto per la fisica della relatività quanto per quella quantistica; ecco difatti come un matematico riassume la situazione: «.Il punto di partenza sono le linee di universo … cioè le curve che rappresentano la traiettoria di un punto nello spaziotempo, in pratica la traccia che lascia mentre si muove. Nella teoria della relatività, queste linee sono curve regolari, grazie alla struttura delle equazioni di campo di Einstein, e non si biforcano, perché la teoria è deterministica e il comportamento futuro di ogni sistema fisico è completamente determinato dal suo passato, anzi dal suo presente. Nella teoria quantistica dei campi esiste un concetto analogo, detto diagramma di Feynman, che rappresenta le interazioni delle particelle all’interno di uno spazio piuttosto schematico…ecc.» (Ian Steward, L’eleganza della verità.Storia della simmetria, 2007, Einaudi, Torino 2008, pag. 280; corsivi nostri). [14] . Un signore che si aggira solitario per il Wyoming nota al centro di un ampio spazio del terreno un buco quasi perfettamente circolare che si sprofonda nel buio della terra; incuriosito si sofferma per un po’ ad esaminarlo. Quand’ecco improvvisamente un imponente getto di vapore uscire da quel buco ed innalzarsi nel cielo come un’altissima colonna di acqua e vapori che dopo pochissimi minuti si spegne con la medesima rapidità con cui era apparsa. Meravigliato da un simile inaspettato fenomeno decide di fermarsi per assistere nuovamente a quella meraviglia. Ma dopo un’inutile attesa di oltre un’ora si allontana dal posto, convinto di aver assistito ad una manifestazione unica, eccezionale e irripetibile. Quel buco, in realtà era l’Old Faithful, un geyser le cui eruzioni si verificano da sempre, puntuali come un orologio, a intervalli di 65 o 92 minuti (con un margine di errore di 10 minuti, il geyser erutta 65 minuti dopo un'eruzione durata meno di 2 minuti e mezzo o 92 minuti dopo un'eruzione di durata maggiore dei 2 minuti e mezzo). [15] - « “Le mutazioni sono casuali” è un’affermazione fuorviante che subdolamente incorpora una visione restrittiva e non gerarchica della vita: la selezione nelle popolazioni vista come il processo dell’evoluzione, con tutti gli altri processi valutati in relazione ad essa. La prospettiva gerarchica risolve ogni paradosso e difficoltà. Poiché le mutazioni si verificano ad un livello che sta sotto quello degli organismi [sembra non per Monod cfr.], la loro indipendenza dovrebbe condurci a prevedere una relazione causale non diretta con la selezione naturale che opera al livello convenzionale dei fenotipi. Abbiamo coniato il termine “exaptation” per indicare le caratteristiche che emergono per un certo motivo [archi portanti della cupola di San Marco] e sono poi fortuitamente disponibili e cooptate dalla selezione per un’altra ragione [pennacchi sferici tra gli archi: portati, però!..]. Le correlazioni tra forma e funzione possono essere onnipresenti in natura e possono esprimere una buona progettazione degli organismi e delle loro entità, ma non necessariamente hanno avuto origine direttamente per “adattamento” (nel senso di Williams 1966), ovvero tramite selezione diretta per la loro utilità attuale.» - (Gould-Vrba 1981, Exaptation, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2008, p.92 seg.). – Mi sembra un brano brancolante di inutile sottigliezza, orientato da qualcosa forse intuita correttamente da Dennet (vedi qui nota 12). Andrebbe verificata la correttezza per cui “il processo dell’evoluzione” viene qui inteso come lo svolgersi per “adattamento” diretto ad una utilità attuale… E poi il ragionare coi pennacchi non lo aiuta certo a svincolarsi dal determinismo. Anzi! lo rafforza; tirando tra l’altro in ballo (nel corredo delle prestazioni teleonomiche del progetto, Monod, p.26) anche l’azione determinata dal “meme-decorazione” (Dawkins), che eliminerebbe la “fortuità-casualità” con cui la selezione naturale coopterebbe qualcosa per rispondere ad una funzione adattativa diversa da quella originaria; ma qui la domanda a cui rispondere non sarebbe solo quella che riguarda l’exaptation della funzione attuale (superiore), ma anche la funzione originaria (inferiore) potrebbe essere a sua volta l’exaptation di un’altra funzione, e così via. Inoltre, a ben vedere, le vele di san Marco non cambiano affatto la loro funzione: con figurazioni dipinte o senza esse rimangono delle superfici opache autonome dalla struttura portante; è questa la loro invariante, e non deve ingannarci il fatto che tuttavia si sono realizzate in quanto membrane opache per poi prendere i colori come le ali di una farfalla; vale a dire: mettete in ballo il “meme” ricordato nel suo variare storicamente e magari arriviamo a includere l’intera chiesa di San Marco come una ennesima exaptation se la sua facciata venisse usata come uno ‘schermo’ su cui proiettare in diretta le immagini del Carnevale veneziano (come è realmente avvenuto) - un fenomeno storicamente determinato, che è potuto accadere solo dopo che l’immagine si è liberata dal supporto e il supporto dall’immagine, così da avere separatamente immagine e schermo. E’ solo allora (post cinema) che vediamo e comprendiamo i pennacchi in sé e per sé, nella loro autonomia, e comprendiamo anche che potremmo toglierli senza danno costruttivo - se non fosse il meme della “decorazione pregevole” a dissuaderci, agendo come un anticorpo a protezione della sua propria forma, il ‘pennacchio sferico’, che vuole esserci proprio così, e proprio così riprodursi. – L’esattazione è forse un strategia restrittiva dell’evoluzione per arginare un dispendioso proliferare delle morfologie?). [16] . La forma biforcuta sembra catturare il soggetto per metterlo in uno stato di crisi e tenercelo come un uccello affascinato dal serpente: «.Si tratta di situazioni ambigue, in cui al soggetto o viene sottratto un oggetto che ‘normalmente’ gli è abituale o viene offerta una pluralità di oggetti tra cui scegliere… lo stesso sviluppo ‘normale’ comporta delle tappe ‘indeterminate’ che generano delle crisi, che di norma sono superate…» (René Thom 1980, op. cit. pgg. 108 e 110). [17] - L’asse omeostatico inferiore è un “andar da sé” delle cose, secondo un modo rettilineo uniforme, per quanto perturbato. Ora: “La fisica aristotelica supponeva che un oggetto che si muove di moto rettilineo richiedesse una spiegazione in termini di qualche cosa di simile a una o più forze che continuano ad agire sull'oggetto. Un punto centrale del grande cambiamento di prospettiva operato da Newton fu l'idea che un moto rettilineo siffatto non richiedesse spiegazioni e che le richiedessero soltanto le deviazioni da esso, le accelerazioni” (Dennet, L’idea.., pag.460). Ecco una considerazione che applicata alla lettura del grafico consentirebbe di svolgere riflessioni di vario tipo, alcune molto ovvie (a partire dall’analogia accelerazione–rivoluzione), ma anche che se la richiesta di “spiegazione” scaturisce dalla “deviazione” (concreta) allora è da tale e con tale '"deviazione" che scaturisce conoscenza … e altra nuova certamente scaturirà dopo la nostra “deviazione/rivoluzione”(catastrofica)", ovvero dopo il capovol-gimento della prassi dello stato attuale delle cose: nuovo modo di produrre è nuovo modo di conoscere… [Riguardo l’efficienza energetica di un sistema ‘vivo’, vedi Monod cit. “il paradosso dell’invarianza”, paragrafo Oggetti strani p. 27]
[18] - Forse il grafico potrebbe applicarsi anche per il processo autocostruttivo-evolutivo della natura…? Ad esempio (fatta salva la nostra critica a Monod) io vi trovo delle risonanze addirittura con questo brano: «…la Biologia moderna riconosce, al contrario, che tutte le proprietà degli esseri viventi si basano su un meccanismo fondamentale di conservazione molecolare. Per la teoria del giorno d’oggi l’evoluzione non è affatto una proprietà degli esseri viventi, in quanto ha le sue radici nelle imperfezioni stesse del meccanismo conservatore che, invece, rappresenta il loro unico privilegio. Si deve dire quindi che la stessa fonte di perturbazione, di ‘rumore’ che, in un sistema non vivente, cioè non replicativo, abolirebbe a poco a poco ogni struttura, è all’origine dell’evoluzione nella biosfera e giustifica la sua totale libertà creatrice, grazie a questo ‘conservatorio’ del caso [la struttura replicativa del DNA] sordo sia al rumore sia alla musica.»… voi no!?... [E' anche probabile che la "sordità" o "imperfezione" stessa del meccanismo conservatore non sia altro che una forma di perfezione incomputabile; che dal difetto di memoria o, ad es., da mancanza di conoscenza, si generi memoria e conoscenza nuove. Basti riflettere su questa osservazione di un collega di Turing: «.Si può quasi dire che Turing riuscì nella sua analisi perché non conosceva il lavoro di altri. Evviva le menti libere.» (riportata in Dyson, L'evoluzione delle macchine, cit., p.104).]
...Non vi convince forse quella totale libertà creatrice?... Neppure a me… Allora leggiamo il seguito (p.99 Monod, vedi qui al capitolo VII, L'evoluzione), e anche più attentamente rileggiamo per intero Come il signor Monod distruggerebbe la dialettica. |
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