EUPALINO, O DELL'ARCHITETTURA |
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Paul Valéry . 1921
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Dice Socrate a Fedro:
– Guardati attorno, ascolta. – Non odo nulla e scorgo ben poco. – Forse perché non sei morto abbastanza. SOCRATE – Nulla ci può sedurre e nulla ci può invaghire, nulla scegliamo nella moltitudine delle cose, nulla rende varia la nostra anima che in un modo qualsiasi non preesistesse nell'esser nostro o non fosse in segreto atteso dalla nostra natura. Tutto ciò che diveniamo, sia pure transitoriamente, era disposto: in me era un architetto che Ie circostanze non compirono. FEDRO – Come lo sai? SOCRATE – Per non so quale profonda intenzione a costruire che sordamente inquieta il mio pensiero. FEDRO – Non ne desti segno, quando s'era vivi. SOCRATE – T’ho detto ch’io nacqui parecchi e sono morto uno. II bimbo che nasce è una folla innumerevole ridotta ben presto dalla vita a un solo individuo: quello che si manifesta e che muore. Molti Socrate nacquero con me, donde a poco a poco si distaccò il Socrate destinato ai giudici ed alla cicuta. FEDRO – E che cosa son diventati tutti gli altri? SOCRATE – Idee. Sono rimasti allo stato di idee. Domandarono d'essere, ma ne ebbero rifiuto e li mantenni in me come miei dubbi e mie contraddizioni... Alle volte questi germi di persone sono favoriti dalle occasioni, e siamo molto prossimi allora a cambiar natura. Ci riconosciamo gusti e doni che non supponevamo in noi: il musico diviene stratego, il pilota si sente medico, colui ch'era di virtù specchiata ed esemplare si scopre nascosto un Caco, e l'anima di un ladro. FEDRO – Vero è che talune età dell'uomo sono come incroci di strade. SOCRATE – L'adolescenza è singolarmente situata in mezzo ai cammini... Un giorno, ai mie’ bei tempi, mio caro Fedro, conobbi una strana esitazione tra Ie mie anime: fu il caso a mettermi in mano l'oggetto più ambiguo del mondo, e Ie riflessioni infinite alle quali esso m'avviò potevano tanto condurmi al filosofo che diventai, quanto all'artista che non sono stato... FEDRO – E’ un oggetto che ti ha cosi variamente eccitato? SOCRATE – Sì, un oggetto meschino, una certa cosa che trovai camminando, fu l'origine d'un pensiero che si spartiva fra costruire e conoscere. FEDRO – Meraviglioso oggetto, comparabile al vaso di Pandora che conteneva insieme tutti i beni e tutti i mali !... Mostrami quest'oggetto, come fa il grande Omero coll'ammirevole scudo del Pelide ! SOCRATE – Tu pensi giustamente che sia indescrivibile... La sua importanza è inseparabile dal turbamento che mi provocò. FEDRO – Spiegati meglio. SOCRATE – Ebbene, Fedro, ecco come fu: FEDRO – Tu mi fai rivivere. 0 linguaggio saturo di sale ! 0 parole veramente marine ! SOCRATE – Mi sono abbandonato a parlare... Abbiamo l'eternità per discorrere del tempo e siamo qui a inaridirci gli spiriti, come Ie Danaidi. FEDRO – E l'oggetto? SOCRATE – Giace sulla riva dove camminavo, dove mi son fermato, dove ho visto lo spettacolo di cui ti ho detto e, a te noto quanto a me, ma ricordato in questo luogo, trae non so che di nuovo dall'essere ormai scomparso per sempre. Attendi dunque: ritroverò in poche parole quel che non cercavo. FEDRO – Siamo tuttavia sulla riva del mare? SOCRATE – Necessariamente. Il confine tra Nettuno e la Terra, ognora conteso dalle divinità rivali, è il luogo del più funebre e ininterrotto commercio. Ciò che il mare rifiuta, ciò che la terra non sa trattenere, i relitti enigmatici, le membra paurose delle navi sconnesse, nere come il carbone e quasi combuste dall'acque salse; Ie carogne orribilmente beccate e levigate dai flutti, l'erbe molli disvelte dalle tempeste alla pastura trasparente delle mandrie di Proteo, i mostri flosci dai colori freddi e smorti; tutte Ie cose, infine, che la fortuna abbandona ai furori littorali ed alla contesa senza conclusione dell'onda colla riva, vengono là portate e riportate, sollevate, riabbassate, prese, perdute, riprese secondo l’ora e il giorno: malinconiche testimonianze ai destini indifferenti, ignobili tesori in balia d'un commercio perpetuo ed immutevole… FEDRO – E là trovasti…? SOCRATE – Proprio là trovai una di quelle cose rigettate dal mare, una cosa bianca, d'incorrotta bianchezza. Polita, dura, dolce, leggera, brillava al sole sulla sabbia levigata, oscura e cosparsa di scintille; la presi, vi soffiai sopra, la strofinai sul mio mantello e la sua forma singolare arrestò tutti gli altri miei pensieri. Chi ti ha fatto ? – pensai. Diversa da ogni altra, eppure non informe, sei tu il giuoco della natura, o cosa senza nome, a me giunta per invio degli dei fra Ie immondizie ripudiate stanotte dal mare? FEDRO – Quant'era grande l’oggetto? SOCRATE – Grosso quasi come il mio pugno. FEDRO – E di qual materia? SOCRATE – Della materia stessa della sua forma: materia d'incertezza. Era forse un osso di pesce bizzarramente consumato dallo scorrere della sabbia fine sotto Ie acque; o avorio tagliato per non so qual uso da un artigiano d'oltremare? Chi sa?... Una divinità perita col vascello su cui stava vigilante a buona sorte? Ma chi dunque ne era l'autore? II mortale obbediente a un'idea, che colle mani intese ad uno scopo estraneo alla materia da attaccare, raschia, recide o ricongiunge, s'arresta e giudica, e si separa infine dall’opera sua come qualcosa glie l'annunzia compiuta?... O l'opera d'un corpo vivo che ignorandolo lavora sulla sostanza propria, e si forma ciecamente gli organi, le armature, il guscio, l’ossa, Ie difese; e del nutrimento attinto intorno a sé fa partecipe la costruzione misteriosa ond'egli dura? FEDRO – Sicché, caro Socrate, quando un artista, immediatamente e con volontà costante, forma un busto come quello di Apollo, il suo lavoro è in certo modo all'opposto del tempo indefinito? SOCRATE – Precisamente: come se gli atti rischiarati da un pensiero abbreviassero il corso della natura. E può dirsi con sicurezza che un artista valga mille secoli o centomila o anche di più; che cioè questo tempo quasi inconcepibile sarebbe occorso all'ignorante, o al caso, per ottenere ciecamente l'istessa cosa che il nostro uomo eccellente ha potuto compiere in pochi giorni. Ecco una strana misura delle opere ! FEDRO – Strana davvero ed è gran sventura il non potercene servire... Ma, dimmi, che facesti con quella cosa nelle mani ? SOCRATE – Per qualche momento, e la metà d'un momento, mi diedi a considerarla in tutte Ie sue facce. La interrogai senza fermarmi ad una risposta... Opera della vita, dell'arte, o del tempo, e giuoco di natura? Non potendo decidere... a un tratto buttai di nuovo in mare il singolare oggetto. FEDRO – L'acqua zampillò, e ti sentisti più lieve. SOCRATE – Non tanto facilmente lo spirito si libera da un enigma, e l'anima non torna in calma semplicemente come il mare... La questione appena nata, non priva di sussidî, di risonanze, né di tempo né di spazio, nella mia anima incominciò a crescere e per alcune ore mi cimentò. Vano respirare deliziosamente e lasciare che i miei sguardi godessero Ie chiare bellezze dell’estensione, mi sentivo tuttavia prigione d'un pensiero, alimentato dai miei ricordi con esempi ch'esso cercava di volgere a suo vantaggio. E gli affacciai mille cose, giacché allora non ero esperto dell'arte di riflettere e di lusingarmi tanto da presentire ciò che occorreva e non occorreva esigere da una verità ancora troppo giovine e troppo debole per sopportare tutti i rigori d'un lungo interrogatorio. FEDRO – Vediamo un po' cosi fragile verità. SOCRATE – Non oso offrirtene il diletto... FEDRO – Ma tu, l'hai proposto ! SOCRATE – Sì; l'esporla mi sembrava cosa più degna... Ma, come mi ci avvicino, e mi trovo quasi sul punto di dirla, sono vinto dal pudore e provo un poco di vergogna a farti conoscere quest'ingenua produzione della mia età d'oro. FEDRO – Quant'amor proprio ! Dimentichi che siamo ombre... SOCRATE – Ecco dunque la mia idea ingenua. Imbarazzato da quell'oggetto di cui non arrivavo a conoscere la natura, da tutte Ie categorie richiesto o ripudiato parimenti, tentai di sottrarmi all'immagine irritante della mia scoperta. Come avrei potuto se non coll'espediente d'ingrandire la difficoltà? Insomma, mi dicevo, lo stesso imbarazzo propostomi dall'oggetto trovato può venir concepito anche per un oggetto noto. Ma in rapporto a questo, che è noto, possediamo la domanda e Ia risposta; o, meglio, possediamo soprattutto la risposta e, nella coscienza d'averla, trascuriamo di formulare la domanda... Supponiamo dunque ch'io consideri una cosa molto familiare quale una casa, una tavola, un'anfora; s'io fingo per qualche tempo d'essere selvaggio affatto e di non aver mai visto oggetti simili, potrò a diritto dubitare che essi siano di fattura umana... Non sapendo a quale uso servano, anzi nemmeno se riescano ad avere un uso, e non essendo per altro consigliato da alcuno, bisogna pure ch'io immagini il mezzo di acquietare il mio spirito... FEDRO – E che cosa immaginasti ? SOCRATE – Cercando, trovando, perdendo e ritrovando il modo di discernere ciò che vien prodotto dalla natura e ciò che vien fatto dagli uomini, mi fermai per qualche tempo, coll'occhio esitante nei coni di numerose luci. Quindi presi a camminare molto rapido verso terra: come taluno in cui i pensieri, dopo lunga agitazione di tutti i sensi, sembrino alfine orientarsi e comporsi in un’unica idea, per generare contemporaneamente nel suo corpo la decisione d'un momento ben determinato e un'andatura franca... FEDRO – Questo lo sento, ed ho sempre ammirato come l'idea sopraggiungente, ancorché astrattissima, dia ali e conduca non importa dove: fermarsi, poi ripartire, ecco che cos'è pensare ! SOCRATE – E quasi correndo ragionavo così: un albero carico di foglie è un prodotto della natura, è un edifizio di cui son parti Ie foglie, i rami, il tronco e Ie radici. Supposto che ciascuna di queste parti mi dia l'idea d'una certa complessità, dico che l'insieme di quest'albero è piu complesso d'una sua parte qualsiasi. FEDRO – Non c'è bisogno di dimostrazione. SOCRATE – lo sono ben lungi dal pensarlo, ma avevo appena diciott'anni e non conoscevo che certezze. L'albero, dunque, comprendendo queste e quelle parti, ne comprende e ne assume tutte Ie diverse complessità; ed altrettanto avviene per un animale, di cui l'intero corpo è cosa più complessa del piede, o della testa, giacché può dirsi che la complessità del tutto comprenda, quali parti, Ie complessità delle diverse parti. FEDRO – Gli è, mio caro Socrate, che non è davvero concepibile un albero come parte di foglia o accessorio d'una radice, ne un cavallo come organo o parte della sua coscia... SOCRATE – Ne arguii subito che in tutti questi esseri il grado dell'insieme è necessariamente più elevato del grado dei particolari; o, meglio, che può essere uguale o più elevato di questo, ma mai inferiore. FEDRO – II tuo pensiero mi sembra abbastanza chiaro, ma il difficile sta nel concepire limpidamente il rapporto dei gradi. SOCRATE – T'ho detto e ripetuto che avevo diciott'anni ! Pensavo, come mi riusciva, a un grado dell'ordine e della distribuzione delle parti e degli elementi raggruppati per formare un essere... Ma tutti gli esseri di cui ho parlato sono fra quelli prodotti dalla natura, e s'accrescono in modo tale che la materia onde son fatti, Ie forme che assumono. Ie funzioni che consentono, i mezzi da essi posseduti per comporsi nello spazio e nelle stagioni, risultino legati fra loro invisibilmente da segreti rapporti; e forse appunto questo vogliono dire Ie parole: “prodotto dalla natura”. Ben altrimenti avviene degli oggetti che sono opera d'uomo: la loro struttura è... un disordine ! FEDRO – Come può essere? SOCRATE – Non hai la sensazione, quando pensi, di disordinare qualche cosa? e quando t'addormenti, di lasciare che essa si ordini come Ie riesce? FEDRO – Non so... SOCRATE – Non fa nulla, continuo. Gli atti dell'uomo che costruisce o fabbrica qualcosa non si preoccupano di " tutte” Ie qualità della sostanza da modificare, ma solo di quelle sufficienti al nostro intento. Bastano all'oratore gli effetti del linguaggio, bastano al logico Ie sue relazioni come la sua coerenza, e l'uno trascura il rigore quanto l'altro gli abbellimenti. Del pari, nell’ordine materiale, una ruota, una porta, un tino, richiedono appropriata solidità, giusto peso, sicura facilità di aggiustamento o di lavoro; e se il castagno e l'olmo e la quercia sono adatti in ugual misura, o quasi, il carradore o il falegname li impiegheranno presso a poco indifferentemente, non badando che alla spesa. Ma nella natura non vedrai la pianta di limone produrre mele, nemmeno quando forse costerebbe meno del dar limoni. FEDRO – Mi viene allo spirito uno strano esempio di siffatto disordine. SOCRATE – E quale? FEDRO – L'ordine stesso, l'ordine sì ammirevole che l'arte dello stratego impone agli individui preparandoli a servire sotto Ie armi. Ricordi, caro Socrate, Ie giornate dedicate agli schieramenti ed alle formazioni, in massa o sparse, per abituare la gioventù all’obbedienza militare e all'unanimità dell’azione? SOCRATE – Per Ercole ! fui soldato e buon soldato. FEDRO – Ebbene, quelle lunghe righe irte, quelle falangi di petti formidabili, quei rettangoli d'armi, da noi formati sui piani polverosi, non erano figure semplicissime, mentre ogni loro elemento era il più complesso oggetto del mondo, un uomo ? E tra quegli uomini v'erano dei Socrate e dei Fidia, dei Pericle e dei Zenone, mirabili elementi nei quali all'ordinaria complessità degli uomini s'aggiunge quella degli universi possibili ch'essi hanno nel loro spirito ! SOCRATE – II tuo esempio torna. Ricordo che talvolta m'occorreva di chiedere testimonianze alla ragione affinché la mia anima ricca e numerosa accettasse quella funzione di semplice unità e di parte indiscernibile d'un esercito. Tu vedi, però, che l'ordine e il disordine, convenientemente condotti, spiegano o almeno avvicinano molte cose. FEDRO – Mosso da quell’oggetto trovato sulla riva del mare, al quale nessun altro avrebbe prestato la minima attenzione, il tuo genio adolescente si elevò quasi subito a considerare una differenza importantissima e semplicissima. Da un minimo incidente hai tratto questo pensiero: che Ie creazioni umane si riducono al conflitto di due generi d'ordine, uno dei quali, naturale e dato, subisce e sopporta l'altro, ch'è fatto dei bisogni e dei desideri umani. SOCRATE – Questo ho creduto. All'uomo non occorre tutta la natura, ma solo una parte. E’ filosofo colui che concepisce sempre più largamente e vuole avere bisogno di tutto. Ma l'uomo che s'accontenta di vivere e basta, non abbisogna né di ferro né di bronzo “in sé” bensì di questa durezza o di quella duttilità, ed è costretto a prenderle là dove Ie trova, cioè in un metallo che possiede anche altre qualità indifferenti… Non bada che al suo scopo: se deve conficcare un chiodo lo batte con una pietra, oppure con un martello di ferro o di bronzo o di legno durissimo, e lo conficca a piccoli colpi o d'uno solo più forte o, qualche volta, premendo. II modo non gli importa, se il risultato è il medesimo, se il chiodo è confitto: ma ove non si badi a seguire il filo dell’azione e a considerare tutte Ie circostanze, queste operazioni appaiono affatto diverse, come fenomeni d'impossibile confronto. |
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Gordon Matta-Clark, Conical Intersect, Parigi 1975
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FEDRO – Ora capisco come tu abbia potuto esitare fra costruire e conoscere.
SOCRATE – Bisogna scegliere tra l'essere un uomo ed essere uno spirito. L'uomo non può agire se non perché può ignorare e contentarsi d'una conoscenza parziale che serve ad un suo particolare capriccio e un poco soverchia la misura del sufficiente ! FEDRO – Da questo piccolo eccesso, tuttavia, siamo fatti uomini. SOCRATE – Uomini?... Credi davvero che i cani non vedano Ie stelle pur non sapendo che farsene? Gli basterebbe di percepire colla vista Ie cose terrestri; ma l'occhio non è così precisamente adatto alla mera utilità, che i cani non possano diventare capaci dei corpi celesti e del maestoso ordine notturno. FEDRO – Abbaiano instancabilmente alla luna ! SOCRATE – E gli uomini, in mille modi, non si sforzano a colmare o a rompere il silenzio eterno degli spazi immensi e spaventosi? FEDRO – Vi hai consumato la vita !... Ma io, io non mi consolo mai della morte dell'architetto che era in te e tu assassinasti per aver troppo meditato sul frammento d'una conchiglia ! Con la tua profondità e Ie tue prodigiose sottigliezze avresti superato i nostri più famosi costruttori: né Ictino né Eupalino di Megara né Chersifrone di Cnosso né Spintano di Corinto sarebbero stati capaci di gareggiare con Socrate d'Atene. SOCRATE – Fedro, ti supplico !... la materia sottile di cui ora siamo fatti non ci consente riso. Sento che dovrei ridere ma non posso... Smetti ! FEDRO – Seriamente, Socrate, da architetto che avresti fatto? SOCRATE – Non so... Soltanto vedo press'a poco come avrei condotto i miei pensieri. FEDRO – Conducili almeno fino alla soglia dell'edifizio che non hai costruito. SOCRATE – Mi basta seguitare questa specie di fantasioso ragionamento che ti tenevo or ora. FEDRO – Costruire sarebbe dunque creare per principi separati... SOCRATE – Sì. Di fatto l'uomo crea in due tempi, uno dei quali si svolge nel dominio del puro possibile, in seno alla sostanza fine che può imitare tutte Ie cose e combinarle all'infinito. L'altro è il tempo della natura, che contiene in un senso il primo e in un altro ne è contenuto. I nostri atti partecipano d'ambedue, e il progetto è distinto dall'atto come questo dal risultato. FEDRO – Ma come può concepirsi la separazione, e come si trovano i principî ? SOCRATE – Non sempre sono così distinti come ho detto e, del resto, non tutti gli uomini li distinguono ugualmente; ma una riflessione molto semplice e primitiva basta a darne l’idea. Nel Tutto l'uomo discerne tre grandi cose: il proprio corpo, l'anima e il resto del mondo, i quali si comunicano senza interruzione e talvolta anche si confondono, ma solo per un certo tempo, ché poi si distinguono netto l'una dall'altro, come se il loro miscuglio non fosse durevole e la loro divisione dovesse, ogni tanto e necessariamente, riavviarsi. FEDRO – Talora l’uomo che dorme scambia la propria gamba per una pietra, ed il riposo per un movimento; scambia il desiderio con la gloria, il pulsare delle vene per una voce misteriosa, e quando una mosca gli sfiora il viso sente un volto terribile che lo perseguita... Ma tutto ciò non potrebbe durare; egli si desta: conservando il passato all'anima, l'allontana dal corpo, e divide di nuovo tutte Ie cose per rifabbricarsi secondo i suoi principi. SOCRATE – Allora è ragionevole pensare che Ie creazioni dell'uomo siano fatte o pel corpo, e questo principio chiamano utilità, o per l'anima, e lo vanno cercando col nome di bellezza. Tuttavia, chi costruisce o crea, considerando come il resto del mondo e il fluire della natura tendano in perpetuo a dissolvere, a corrompere o a capovolgere quant'egli fa, deve riconoscere un terzo principio e cercare di comunicario alle sue opere. Esso esprime la resistenza con cui l'uomo vuole che Ie opere si oppongano al destino che Ie fa periture, e però ricerca la solidità o la durata. FEDRO – Ecco i caratteri maestri di un'opera completa. SOCRATE – Solo l’Architettura li esige e li porta al sommo. FEDRO – Per me non v'e arte più completa. SOCRATE – In questo modo il corpo ci costringe a desiderare ciò ch'è utile o semplicemente comodo; e l'anima domanda il bello, ma il resto del mondo con Ie sue leggi e il caso ci obbliga ad esaminare ogni opera sotto l'aspetto della solidità. FEDRO – Ma questi principi, così distinti nell'espressione che ne dài, non sono invero sempre mescolati? Talvolta m'è parso che l'impressione del bello nascesse dall’esattezza, e che l'armonia quasi miracolosa d'un oggetto colla sua funzione eccitasse una specie di voluttà. Se tutto ciò è perfetto, suscita nelle nostre anime un sentimento di parentela del bello col necessario; e la facilità o la semplicità ultime del risultato, messe a raffronto colla complicazione del problema ci ispirano non so quale entusiasmo: l'eleganza inattesa, ecco, ci inebria. Nulla è inutile in queste felici fabbricazioni Ie quali solo conservano quant'è unicamente dedotto dalle esigenze dell'effetto da ottenere; ma sentiamo che forse occorrerebbe un dio per governare sí pura deduzione. Si danno utensili ammirevoli, stranamente chiari, politi come ossa, ansiosi di atti o di forze e non d'altro. SOCRATE – Essi, in qualche modo, si son fatti da sé, ed han la forma migliore che l'uso secolare abbia potuto imporre, ché la pratica innumerevole, raggiunta un giorno quella ideale, vi si ferma. Le mille prove di migliaia d'uomini convergono lentamente verso la figura più economica e più sicura; una volta ottenuta, tutti la imitano ed i milioni di copie corrispondono sempre alle miriadi di brancolamenti anteriori e li celano: questo si vede anche nell'arte capricciosa dei poeti, non soltanto in quella materiale del carradore e dell'orafo... Chi sa, Fedro, che anche lo sforzo degli umani alla ricerca di Dio, i riti, le preghiere tentate, la volontà inesausta di trovare le più efficaci... chi sa che i mortali non trovino col tempo una certezza, o una stabile incertezza, conforme esattamente alla loro natura se non a quella d'lddio. FEDRO – Si dànno pure discorsi tanto brevi, taluno d’una parola, e così energici e densi, e di così profonda ricchezza che par vi si concentrino anni ed anni di intime discussioni e di eliminazioni segrete. Interi e decisivi come atti sovrani, di essi e delle loro poche parole gli uomini si nutriranno a lungo... SOCRATE – Anzi, è quel che in essi c'è di più prezioso. Qualunque sia il loro scopo particolare, vi tendono avvicinando Ie verità più generali, e Ie riuniscono e Ie compongono, sembra, senza alcun secondo fine. Ignoto il loro disegno, nascosta la loro mira reale, non si vede dapprima dov'essi vogliano giungere... Perché tracciare questa linea? perché richiamarsi a questa proposizione?... perché fare questo e non quello ? FEDRO – Con disprezzo. SOCRATE – Questi artisti possono ignorare la modestia! Trovato il modo d'una inestricabile miscela della necessità e degli artifizi, inventano giri ed escogitano destre illusioni che sono i sotterfugi della ragione. La più ampia liberta non nasce dal più ostinato rigore? Però il loro segreto è abbastanza noto: essi sostituiscono alla natura contro cui si ingegnano gli altri artisti una natura più o meno estratta dalla prima, ma Ie cui forme e gli esseri non sono se non atti dello spirito, ben determinati e conservati coi loro nomi. In questa maniera essenziale costruiscono mondi in sé perfetti, che talvolta s'allontanano dal nostro per diventare inconcepibili; e talvolta vi si avvicinano fino a coincidere parzialmente col reale. FEDRO – E càpita talvolta che la sublime speculazione fornisca armi alla pratica... SOCRATE – L'estensione dei loro poteri è appunto il trionfo del modo di costruire di cui ti parlavo. FEDRO – Per principî separati? SOCRATE – Per principî separati. FEDRO – Intendo questi principî e questa separazione per Ie cose speculative; ma ciò che è reale si presta altrettanto bene a queste distinzioni? SOCRATE – Non così facilmente. E’ come se tutto il sensibile esistesse in diversi modi; e tutto il reale dipende da infinite serie di legami, compie mille funzioni e reca in sé più conseguenze che l'atto d'un pensiero non possa abbracciare. Ma l'uomo comanda qualche volta, per un certo tempo, a cosi numerosa realtà e un po' la vince. FEDRO – Già lo intesi al Pireo: bocca molto libera teneva ragionamenti poco diversi da questi, crudamente dicendo che colla natura bisogna usare astuzia e all'occorrenza imitarla, per costringerla, opporla a sé medesima e rapirle i segreti che si volgessero contro il suo mistero. SOCRATE – Tu hai conosciuto dunque numerosi Eupalino? FEDRO – Ho naturale curiosità degli uomini di mestiere, e cerco avidamente persone Ie cui idee, come gli atti, si interroghino e si rispondano con chiarezza. II mio savio del Pireo era un Fenicio d'una strana molteplicità. Prima schiavo in Sicilia, da schiavo divenne misteriosamente padrone di barca, da marinaio si fece mastro calafato; e, stanco di raddobbi, lasciando i vecchi scafi per i nuovi, si improvvisò costruttore di navi, mentre la moglie teneva una taverna a qualche passo dal cantiere. Non vidi mai un mortale di mezzi più varî, meglio istruito negli strattagemmi, più curioso di ciò che non lo riguardava e più abile a servirsene nelle cose che lo interessavano... Considerando tutti gli affari sotto il solo rapporto della pratica e dell’agire, riteneva che il vizio e la virtù fossero anch'essi occupazioni Ie quali vogliono il loro tempo ed hanno Ie loro particolari eleganze, per farne mostra secondo l'occasione: «Tal volta, diceva, si prende il largo, e talvolta si è ridotti alle coste: l'essenziale è navigare con perizia !» SOCRATE – V'è da temere che la sua ombra sia dal lato di Issione. FEDRO – Oh, se la sarà sbrigata... Senza mai perdere la testa, si ripeteva ad ogni istante: tieni duro ! tieni duro !... il brav'uomo !... mai un rimpianto, mai un rimprovero, mai un rimorso, mai un augurio... ma tutto azione e denaro in contante ! SOCRATE – Cos'è venuta a fare questa canaglia nel nostro discorso? FEDRO – Vedrai quale ausilio ci darà. Sappi dunque, diletto Socrate, che era provvisto del più fino e capace orecchio che mai cranio abbia posseduto. Tutto ciò che penetrava in quegl'intricati labirinti era preda d'un mostro singolarmente avido; la bestia rintanata in sí solido guscio s'ingrassava di tutte Ie cose precise, e non so quanti linguaggi e ricette avesse digerito e quanta varia saggezza avesse mutato in sostanza eletta ! Succhiatore di tanti cervelli, l'immaginavo fra detriti e scafi che fossero vuoti di mille spiriti esauriti ! SOCRATE – Ma tu mi descrivi un polipo ! FEDRO – Ed un polipo che interroga Ie acque popolose, sceglie, salta, e brandisce i suoi tentacoli nello spessore dell'onda e vertiginosamente si impadronisce di ciò che gli conviene, non è un essere cento volte più vivo dell'immobile spugna? Quante spugne abbiamo conosciuto sempre appiccicate sotto un portico di Atene, assorbendo e restituendo senza sforzo tutte Ie opinioni fluttanti intorno a loro; spugne di parole bagnate, imbevute indifferentemente di Socrate, d'Anassagora, di Melito, dell'ultimo che ha parlato ! Spugne e sciocchi hanno in comune l'aderire o Socrate ! SOCRATE – Dove mai ? FEDRO – Sul mare. Là, quando sei perduto lontano dalle terre, e la nave è simile al cieco abbandonato sul tetto d'una casa, il consiglio d'uno di questi saggi può diventare il segno della tua salvezza. Una parola di Pitagora, un precetto ed un numero derivati da Talete, ove ad un tratto tu possa scorgere un pianeta e il sangue freddo non t'abbia abbandonato, ti riconducono in vita. SOCRATE – Ma tu, dove mi conduci? FEDRO – Volevo guidarti agli edifizi di legno che costruiva il Fenicio, e bisognava, dapprima, fare il ritratto dell'uomo... Se tu l’avessi visto una sola volta, con gli occhi orlati di rosso e simili ai fondi cuprei del mare infuocato, dove si muovono i pesci verdi ch'è pericoloso mangiare !... Ma parlavamo, caro Socrate, del coniugio della pratica colla teoria. Pensavo di farti sentire a qual punto Ie vicissitudini della vita, e Ie lezioni che essa gli aveva venduto e quelle che egli aveva preso dai savi, riuscivano a combinarsi nel suo spirito. L'audace Fenicio non smetteva dal considerare nella sua anima il problema della navigazione: dentro di sé egli agitava senza tregua l'Oceano. Che cosa può opporre l'uomo a quest'universo incostante, travagliato dagli astri lontani, corso da marosi e da montagne trasparenti, incerto alle rive, ignoto nelle profondità, origine di tutto ciò che è vivente e tomba impenetrabile, sotto un velo di luce, dai moti di culla? II suo demone industrioso l’incitava a voler fare i migliori vascelli che avrebbero scalfito Ie onde; e mentre gli emuli non andavano oltre l'imitazione dei modelli d’uso, e di copia in copia continuavano a ricostruire la nave di Ulisse se non addirittura l’arca immemorabile di Giasone, egli, il sidonio Tritone, penetrando sempre meglio nelle parti inesplorate della sua arte, sciogliendo i viluppi d’idee pietrificate, per risalire alla sorgente delle cose… SOCRATE – I più, caro Fedro, ragionano su nozioni “bell’e fatte” ma non fatte da alcuno; e però, giacché nessuno ne è responsabile, servono male tutti. FEDRO – Ma lui, ti dissi, s’era procurato chiarezze affatto personali… SOCRATE – Le sole che possano essere universali…
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