ALTRE BUGIE |
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Acta Eruditorum . 1712
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Narciso . Νάρκισσος. Nárkissos
Passò dinanzi al Tempio quando ancora non era stato del tutto ricoperto dalle lastre di bronzo; e per tale profilassi meteorica v'era d'attorno un gran daffare di scale e carpentieri con succhielli e cartocci, ripieni di chiodi bruniti, che si svuotavano rapidamente e poi ricadevano svolazzando leggeri ad imbrattare i prati più lontani. Mentre dalla buia apertura in fondo all'atrio tranquillo se ne usciva il pesante fumo dei tripodi interni, dai più intimi recessi della cella improvviso lo raggiunse uno sbuffo acquoso di marcia zolfatara, come fosse l'odore stesso dell'oracolo pizio che se ne stava lì dentro seduto sul proprio ombelico, tale ad un immobile delirio, mentre l'intera Delfi erigeva, con sudore di fatica, la dimora del Dio. Sull'alto stilobate, tra tegole spesso rotte e antefisse sbrecciate, erano sparse ossa di pollo e torsoli di mela, ed anche ogni altra immondizia di cantiere. Ma dopo l'ultima rifinitura dei fregi arborei con le placchette d'oro, tutti gli scarti di quell'intrapresa sarebbero spariti nel fondo della rupe, per la delizia dei vermi e dei ramarri. Solo la sapiente esortazione dettata da Savi per il tempio di Apollo era stata intanto ultimata; e tutti potevano già vederla incisa lungo l'architrave marmorea del frontone. Il giovine alzò la testa, e facendosi ombra con la mano lesse con attenzione quel conosci te stesso scolpito con lettere tanto profonde che pareva volessero subito infilarsi dentro l'eternità. E rapido convenne che avevano ben fatto a segnalare con tale evidenza quel luogo micidiale — poiché Tiresia gli aveva predetto appunto la morte prematura in una tale circostanza del conoscersi. Per un momento ancora Narciso scrutò nell'ombra fonda del pronao, e ne annusò il nefasto: « Vado piuttosto a stanare altre bestie » — si disse; e proseguì lesto come uno scampato, oltre il sacro recinto dei cipressi, diritto ai boschi, giacché il radioso arco del Sole s'era incurvato troppo verso la calura, ed era tempo piuttosto di affrettarsi alla caccia. Intanto, alto sopra l'ottuso tetto del santuario — pur non avendo un ruolo chiaro in tutta la vicenda — un piccione se ne volava tranquillo nel cielo sgombro dei significati. Il pomeriggio trascorse per intero rincorrendo le prede giù per le convalli; e infine, quando oramai si andavano spegnendo gli echi degli ultimi richiami alla battuta, Narciso si distese sopra il muschio di un prato che scivolava inavvertitamente nella immobile conca di una sorgiva. E quando poi, prostrato dall'arsura, verso l'acqua in ginocchio si protese, ecco gli apparve su quello specchio fluido la tremula immagine di un adolescente robusto e bello, col viso scintillate di perle di sudore come fosse di un dio superficiale. Ma accanto a quel volto — di sicuro il suo — le alte cime dei monti e le fronde dei pioppi, le verdi canne ed i selvaggi gigli, ed ogni altra cosa lontana s'era tutta avvicinata in quella liquida visione, ed anche lui si avvicinò a sé stesso e in tutto si conobbe sull'istante, come sbalzato su di un vertice sapiente. |
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« Ecco l'invito delfico compiersi per proprio conto nella scodella fangosa della terra, senza preavviso e senza soccorso alcuno d'un esaltato oracolo » — disse con un sorriso pallido palpandosi al vigoroso collo. « Adesso tocca a te, Apollo, conoscere te stesso, e attento a non sbagliare ! » — aggiunse volgendosi al cielo; quindi si reclinò per bere a quel primato.
Ma il Dio deriso dalla sua propria preda non si lasciò distrarre da quel mendace gioco degli specchi; e mirando giusto al bersaglio mortale lo trafisse col dardo dell'enigma, per inchiodare ad una stessa croce il piacere e la morte. Fu dunque proprio all'imbrunire che s'avverò il presagio di Tiresia e perse corpo il mito. Eppure, in quello stesso giorno per ben due volte Apollo fu sconfitto, e non lo seppe. |
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