L'ARTE RACCONTATA AI COMPAGNI

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Tracce di Lavoro Comune 2 . 2017
arteideologia raccolta supplementi
made n.15 Maggio 2018
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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Elementi e complementi . (appunti I.1)
Non bisogna pensare che nella società attuale siano presenti due scienze, una della classe dominante e una della classe dominata: è presente una sola scienza, quella della classe dominante. [1]  

Immagini e preamboli

Potrebbe anche essere discutibile parlare del periodo attuale come di una epoca della civiltà dell’immagine - cioè di un’epoca particolarmente segnata da una svolta iconica dopo quella linguistica - quando semmai siamo in presenza di una più intensa variazione inflattiva di tutti i mezzi di comunicazione.
E' però  innegabile che stiamo vivendo una fase della modernità nella quale lo sviluppo planetario dei sistemi di informazione ha portato alla creazione di nuove forme di visualizzazione e di esperienza visiva, a nuovi usi sociali dell’immagine, a nuovi contegni critici, di fiducia o diffidenza, verso le funzioni conoscitive o testimoniali delle immagini in generale. In questi ultimi decenni la tecnologia ha offerto alle immagini i mezzi e i modi di replicarsi e ampliato le occasioni in cui, volenti o nolenti, siamo chiamati ad assumere il ruolo di spettatori delle loro fantasmagorie visuali, impastate e impestate con tutta l’ideologia che emana da questa come da ogni altra manifestazione sociale della società capitalistica.
Dunque, tanto vale affrontare la questione e vedere cosa possiamo cavarne di utile.

Noi qui non tratteremo direttamente la categoria dell’immagine, davvero troppo ampia e carica di problematiche circa la sua natura e il potere che esercita su di noi. Ossia, parleremo anche dell’immagine in generale, ma occupandoci preferibilmente di quelle particolari manifestazioni dell’immagine tradizionalmente ritenute eccellenti e che il senso comune è in grado di ravvisare immediatamente quando si parla dell’Arte e della sua storia.
Noi tutti amiamo spesso dire, e constatare nei fatti, che il capitalismo lavora per la “nostra” rivoluzione; eppure, nonostante la volontà e la convinzione di essere nel solco stesso della rivoluzione, altrettanto spesso diffidiamo del lavoro intrapreso specialmente quando si mette mano nei lasciti affastellati dalla borghesia.
Così, per poter parlare senza troppe cautele di questioni artistiche, abbiamo ricordato a noi stessi che nonostante tutto la rivoluzione è sempre in marcia e alla fine saprà scegliere con chi farsela e che cosa tenersi stretto o buttar via, e pertanto ci siamo concessi una certa libertà di elaborazione, fiduciosi di non provocare troppi danni.
E poiché sappiamo anche che in questa società, così come non esistono due scienze neppure esistono due arti ma una sola Scienza e una sola Arte: quelle della classe dominante, non siamo andati in cerca di inesistenti elementi di “arte proletaria”, “rivoluzionaria” o addirittura “comunista”, ma di manifestazioni e fenomeni che, proprio emanando da questa società in putrefazione, rafforzano il convincimento che solo volgendo decisamente l’azione e lo sguardo verso il futuro si possono diradare anche le nebbie del presente e le oscurità del passato.
Riguardo poi al modo di esporre un argomento non consueto nella nostra letteratura, diciamo di esserci fatti coraggio facendo nostre le parole di Vincent van Gogh per trasferirle dall’ambito della pittura a quello del nostro parlare attorno alle cose dell’arte.

“In un certo qual senso sono lieto di non aver imparato a dipingere, perché in tal caso potrei aver anche imparato a trascurare un effetto come questo”.[2]

Così, come il pittore olandese è “felice” di non aver imparato a dipingere, anche noi siamo lieti di non aver imparato a parlare di arte e così non trascureremo gli effetti che scaturiranno da questa nostra incurante maleducazione.
E’ probabile dunque che, come nel quadro che van Gogh descrive al fratello, anche nella nostra esposizione ci siano degli errori e dei vuoti, delle esitazioni, dei punti lasciati in sospeso e delle ripetizioni; ma nel complesso crediamo di aver colto qualcosa che l’attuale panorama dell’arte ci ha mostrato e di cui parleremo in modi non addomesticati o convenzionali, non derivati da metodi di studio sistematici ma direttamente generati  dalla natura stessa di una visione generale ma non generica, semplificata ma non ingenua,  disinteressata ma per nulla indifferente.
Affrontare il mondo dell’arte per come appare comunemente è certamente un modo sbagliato e approssimativo di porre le cose; nondimeno nel tastare questo sdrucciolevole terreno abbiamo ritenuto di poter avanzare più agevolmente utilizzando sia riferimenti più tradizionali che comode scorciatoie.
Parleremo, ad esempio, dell’opera d’arte intendendola a volte nella sua accezione più corrente e immediata quale prodotto della genialità di qualcuno, a volte come il risultato particolare di un processo che copre e si estende per l’intero arco storico dell’esistenza sociale dell’uomo, contando sempre su una altrettanta elasticità di comprensione, da parte di chi ci ascolta, nel venirci pazientemente dietro.[3] 

Non penso di sbagliare se dico che noi tutti qui, quantomeno “diffidiamo” della cultura dominante, specialmente poi quando si pronuncia su certe particolari faccende che ci stanno a cuore. Così è per l’ambito storico, scientifico, economico o sociale. Temo però che non riusciamo a fare altrettanto se la faccenda riguarda l’arte e gli artisti.
A questo riguardo vi anticipo che vedremo in seguito un episodio illuminante tratto dalla storia della sinistra; ma per il momento mi limito ad esortarvi di applicare (per quanto possibile) alla corrente concezione dell’arte quella medesima diffidenza che sorge spontanea quando affrontiamo argomenti più pertinenti a questa sede e alle ragioni per cui solitamente ci ritroviamo.
Parlo di una diffidenza nei confronti di convinzioni personali in fatto di Arte, di quelle che intimamente ognuno ritiene “assodate”, consolidate, assiomatiche, automaticamente sottratte alla possibilità stessa della critica... e che per altro appaiono confermate dai fatti e sostenute dal comune pensare.
Così, ad esempio, ci si può anche imbattere in una autorevole pubblicista di arte contemporanea, che ritiene di confutare la hegeliana “morte dell’arte” argomentando che vi sono migliaia di frequentatori di mostre d’arte contemporanea e milioni di visitatori di musei d’arte a testimoniare che l’arte non è affatto morta, e prendere per buono l’argomento oppure diffidarne e respingerlo notando che non poggia su un criterio valido, piuttosto mutua il cretinismo parlamentare per adottare l’elettoralismo (maggioritario) in Arte - giacché ognuno sa che il corteo più numeroso radunato attorno ad un cadavere (per quanto eccellente o squisito possa essere) non dimostra null’altro che il contrario, cioè che l’oggetto del loro riguardo è precisamente e inequivocabilmente, morto.
Questo ragionamento dovrebbe risultavi del tutto familiare, perchè viene solitamente applicato a molte forme sociali che tuttora raccolgono grandi masse di gente viva nonostante siano forme oggettivamente superate e morte; vale per la Nazione e lo Stato, per le fabbriche e le imprese, per le tradizionali organizzazioni sindacali o di partito, e anche per il Capitale stesso.
L’età della pietra è finita ma la pietra rimane – diciamo alcune volte – “I mulini a vento non ci sono più ma il vento soffia ancora... La speculazione sui tulipani è sparita ma la floricultura c’è ancora” - ripeteva anche Van Gogh... 
Ecco. Questa è una cosa da tenere a mente; e magari da coniugare in diversi modi: l’Arte non c’è più ma l’artista rimane -  L’artista non c’è più ma l’arte rimane ... Cioè: tutti e due sono morti... anche se ciò non impedisce ai vivi di andarli a trovare al cimitero o nei sepolcri, come turisti sulle loro tombe  o nei musei - se queste visite consolano i vivi. Ma per quante masse di gente si radunino in tali luoghi proprio nulla viene dimostrato riguardo l’esistenza o l’inesistenza di una concreta vitalità del compianto.

File source: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Gustave_Courbet_-_A_Burial_at_Ornans_-_Google_Art_Project_2.jpg

Questo enorme quadro di Gustave Courbet è stato esposto al Salon Parigino del 1850. Su una superficie di oltre 6 metri e mezzo per 3 è rappresentato un funerale di metà ottocento nel paese di Ornans. Sembra di aver di fronte  l’immagine corrispettiva alle parole con le quali, visitando il Salon di quattro anni prima, Baudelaire aveva descritto “l’eroismo della vita moderna”:
Notate che l’abito nero e il soprabito hanno non solo la loro bellezza politica, che è l’espressione dell’uguaglianza universale, ma anche la loro bellezza poetica, che è l’espressione dell’anima pubblica; - un’immensa sfilata di becchini, becchini politici, becchini innamorati, becchini borghesi. Tutti noi celebriamo qualche funerale. Un marchio uniforme di desolazione è la prova dell’uguaglianza... “.
Vediamo che il feretro è ancora in mezzo agli uomini; velato proprio come un fantasma contrassegnato da ossa incrociate e lagrime che lo piangono... ma i becchini lo faranno muovere per qualche metro ancora prima di calarlo nella fossa già pronta e farlo sparire definitivamente dalla vista e dai sensi di ogni spettatore... nel quadro o del quadro.
Qualcuno potrà anche argomentare che il morto si muoverà ancora, non certo però che, pertanto, è ancora vivo.
Abbiamo dunque una realtà popolata di fantasmi – e sia chiaro che tra questi non c’è il Comunismo, che solo per la borghesia era, ed è ancora, uno spettro minaccioso, e non al contrario una realtà concreta e attiva.
Tanto vale dunque, per moltissime cose superate, morte e anche dissolte; e che però ancora si aggirano tra noi con una certa loro appariscente consistenza e un peso a volte non indifferente.
Certo di queste “forme” bisogna prima accertarne la morte.
Ed è quello che faremo, o cercheremo di fare, seguendo certi decorsi delle arti visuali, come la pittura o la scultura, delle quali non solo le rispettive tecniche produttive sono di volta in volta prosperate e morte, ma anche sono prosperate e morte quelle stesse capacità dell’occhio, della mano e della conoscenza con cui si accompagnavano.
Tuttavia esse non spariscono completamente.
Molti attribuiscono la decadenza della pittura alla decadenza dei costumi. Questo pregiudizio proprio dell’ambiente artistico, e che si è propagato fra il pubblico, è una cattiva accusa degli artisti. Poiché era loro interesse di rappresentare continuamente il passato; il còmpito è più facile, e la pigrizia vi trovava il suo tornaconto” – scriveva Baudelaire nei suoi resoconti dell’Esposizione del Salon del 1846.
Questa “pigrizia del tornaconto” evocata da Baudelaire continuerà ad applicarsi surrettiziamente a nuovi oggetti così da farli ricadere più facilmente nell’ambito delle opere d’arte.
Ambito, per altro, tuttora definito e definibile secondo paradigmi tradizionali - cioè secondo parametri ed elementi anch’essi oggettivamente superati, ma che tuttavia rimangono orientativi e dominanti fintanto che la nuova società non ce ne fornirà di nuovi, adeguati e rispondenti al modo di produzione comunistico.
D’altronde, qualcun altro illustre professore avrà certamente notato, prima di noi, che l’Ottocento è stato il secolo che annuncia e sancisce una sequenza di grandi morti (per nulla simboliche): Hegel quella dell’Arte e della Storia, Nietzsche quella di Dio, Stirner e Dostoevskij quella dell’Uomo; infine Marx, che non ha scritto altro se non un’orazione funebre all’evo capitalista... E tanto basta per iniziare senz’altro.

ELEMENTI E COMPLEMENTI DI NARRAZIONE . 1

Invece di cominciare come al solito dal fondo della preistoria - quando la distinzione tra Arte e vita non esisteva [4] - o dai famigerati Egiziani (che di morti e mummie a rotelle se ne intendevano abbastanza) noi cominceremo dall’epoca attuale, per risalire solo in un secondo tempo alle origini e riprendere il filo abituale della cronologia.[5]
Nella relazione di Bordiga del 1960 a Firenze viene osservato come il Dialogo sui due massimi sistemi del mondo di Galileo sia tanto un'opera di scienza quanto un'opera d'arte, ovvero un'opera letteraria che supporta egregiamente delle teorie scientifiche - appositamente scritta in volgare per facilitare una diffusione ampia e popolare.[6]
In generale, ogni volta che si realizza questo rapporto tra conoscenza e comunicazione c'è una produzione di tipo artistico; è quando viene a mancare questo rapporto che si genera confusione, difficoltà di esprimersi con chiarezza, fatica di comunanza con le altre persone.
La relazione citata si concluderà rivendicando l'unità tra tutte le branche della conoscenza umana; ed è questo uno dei tanti punti che ci distingue dal resto della sopravvivenza di ciò che viene normalmente classificato sotto l’etichetta del marxismo.
Abbiamo quindi delle posizioni da difendere, e lo faremo, o cercheremo di farlo, anche facendo un'incursione nell’Arte.

Arte e scienza

Nell'epoca della rivoluzione borghese si nota di aver utilizzato finora un termine astratto di tipo metafisico - Arte - per indicare un procedimento scientifico e una prassi produttiva: una palese contraddizione. L'Enciclopedia nasce per risolvere simili confusioni e ci offre un chiarimento riguardo ciò che in quell’epoca veniva inteso con il termine di Arte.
Così, qui, alla voce redatta da Diderot, possiamo leggere 

ARTE: Si è cominciato col fare osservazioni sulla natura, l’utilità, l’uso, le qualità degli esseri e dei loro simboli; poi si è dato il nome di scienza o di arte o disciplina in generale, al centro, o punto di convergenza, al quale si sono rapportate le osservazioni che si erano fatte per formare un sistema di regole o di strumenti, e di regole tendenti ad uno stesso scopo; perché ecco cos´è una disciplina in generale.
Esempio: si è riflettuto sull’uso e l’impiego delle parole e si è quindi inventata la parola Grammatica. Grammatica è la denominazione di un sistema di strumenti e di regole relativi a un oggetto determinato; questo oggetto è il suono articolato, i segni della parola, l’espressione del pensiero e tutto ciò che vi ha rapporto: lo stesso vale per le altre scienze o arti. (Vedi Astrazione).
Origine delle scienze e delle arti. – E’ l’industria dell’uomo applicata alla produzione della (sua) natura o per i suoi bisogni, il suo lusso, il suo divertimento o la sua curiosità, ecc., che ha dato luogo alle scienze e alle arti; questi punti di convergenza delle nostre differenti riflessioni hanno ricevuto le denominazioni di scienza ed arte, secondo la natura dei loro oggetti formali
Se l’oggetto va eseguito, l’insieme e la disposizione tecnica delle regole secondo le quali va eseguito si chiamano arte. Se l’oggetto viene considerato soltanto sotto diversi aspetti, l’insieme e la disposizione tecnica delle osservazioni relative a questo oggetto si chiamano scienza[7]
Per il materialismo borghese dell'epoca rivoluzionaria l’arte era dunque la “capacità” di realizzare una qualche e qualsiasi cosa, inclusa l’elaborazione astratta, quale, ad esempio, la scoperta di un procedimento matematico - come quello di d'Alembert per la sua famosa equazione d'onda che viene utilizzata ancora oggi.
L’esposizione illuminista della voce “arte” è molto engelsiana.
Inizia col dire che “si incomincia con il fare osservazioni sulla natura ecc.” per proseguire sull'utilità, sull'impiego, sulle qualità degli esseri e sui loro simboli che permettono di mettere in relazione le osservazioni effettuate per formare un sistema di regole e strumenti che servono tutti al medesimo scopo, e attribuisce a tutto questo il nome di Scienza o di Arte.
Nell’epoca della loro rivoluzione per i borghesi non c’è alcuna dicotomia tra scienza e arte; queste hanno in comune l’origine e lo scopo, e i 37 volumi dell'Enciclopedia mostrano la negazione della loro dicotomia  già nel titolo: "Enciclopedia delle Arti, delle Scienze e dei Mestieri".
Detto brevemente, le intenzioni del borghese Diderot sono di ridare dignità alle “arti meccaniche”, quelle che richiedono un’applicazione manuale, e così trasferisce l'Arte dall’Empireo dei cieli  al basso scenario della cultura materiale, della vita e del lavoro dell'uomo.

Egli ammette una sola distinzione tra le arti, ed è quella fra arte e scienza, tra téchne ed epistéme, ma solo in quanto hanno differenti "oggetti formali": per l'una la produzione materiale, per l'altra l'osservazione analitica.
Fra tutte le arti, liberali o meccaniche, non può esserci invece una gerarchia di valore, perché ognuna è una tecnica per moltiplicare i beni e le conoscenze, i cui eventuali valori specifici (es. il bello delle arti figurative) vanno commisurati alla loro reale capacità di accrescere la "civilisation", il progresso sociale.


D’altra parte, nel periodo di passaggio dal mondo feudale a quello borghese, la pittura, ad esempio, dovette competere con altri tipi di produzione prima di poter realizzare un nuovo genere di pittura del tutto autonomo e specifico come il quadro, e il pittore avere una nuova concezione di quel che faceva. Attorno al 1400 possiamo vedere delle opere che ancora si misurano con l’oreficeria, la scultura o il libro miniato - produzioni artistiche più apprezzate della pittura, che iniziò ad essere prediletta dalla borghesia nascente.
Sembra proprio che ciò che la borghesia nascente separò, la borghesia sviluppata tornò poi a riunire teoricamente.
E’ stata una unificazione che l’Illuminismo riuscì a realizzare offrendo così anche una visione viva delle società che si succedono l'una all'altra; e che implica quella compenetrazione tra le società per cui l’antica produce elementi di anticipazione rispetto a quella futura, la quale adotterà e svilupperà forme i cui embrioni sono sorti nella società che la precede. E’ una concezione rivoluzionaria che poi la borghesia al potere non ha potuto far altro che avversare teoricamente ma subire praticamente. Sembra proprio che l’ideologia borghese prima di iniziare a capitolare davanti al comunismo ha dovuto iniziare a capitolare perfino davanti a sé stessa.
Tenete comunque presente che anche noi quando parliamo di Arte ne parliamo nello stesso modo con cui parleremmo di scienza, di edilizia, di meccanica o di qualunque altra branca della conoscenza delle tecniche umane di produzione.
Noi negheremo l'esistenza di prodotti che facciano parte di un'attività conoscitiva di natura particolare, che è quella artistica, in cui sia affissata una eternità negata ai lavori scientifici, alle conquiste scientifiche. Prima di tutto questo non è esatto, perché vi sono certe opere della scienza le quali certamente resteranno eterne quanto resteranno eterni i versi di Omero e quelli di Dante: per esempio gli Elementi di Euclide, o Il Saggiatore e il Dialogo sui massimi sistemi di Galileo Galilei, o i Philosofiae Naturalis Principia Mathematica di Newton, perché la eleganza di queste opere è completa. Sono opere che contengono elementi di scienza ed arte; raggiungono la laboriosità paziente, analitica, dello scienziato e la sintesi potente dell'artista. E di tante altre opere potrebbe dirsi lo stesso; ma non ci dilunghiamo. Quindi arte e scienza in certi momenti si incontrano. Arte e scienza sono due aspetti analoghi della conoscenza umana, e possiamo affermare con certezza [che fanno parte entrambe del più generale processo di produzione e riproduzione della specie].[8]

Dunque, per il rivoluzionario borghese Diderot, come per il rivoluzionario proletario Bordiga, le arti e la scienza fanno parte integrante e attiva di ciò che in altro modo il teorico dell’era digitale Kevin Kelly ha preferito definire come technium, nella cui descrizione si riverbera, estesa dai due secoli trascorsi, l’unificazione illuminista tra arti, scienze e mestieri.

Il termine cultura non riesce a trasmettere questo fondamentale impeto autopropellente che alimenta la tecnologia. Ad essere onesti, però, nemmeno il termine tecnologia è sufficiente a questo scopo: è altrettanto riduttivo, perché può anche riferirsi a specifici metodi e meccanismi… per cui, seppure malvolentieri, ho coniato un termine per designare quel sistema allargato, globale, fortemente interconnesso che si anima intorno a noi. Ho deciso di chiamarlo technium. Il technium va oltre l’hardware e le macchine, per includere la cultura, l’arte, le istituzioni sociali e le creazioni intellettuali di ogni genere. Comprende entità intangibili come il software, le leggi, i concetti filosofici. E, cosa ancora più importante, comprende gli impulsi generativi delle nostre invenzioni che stimolano ulteriori produzioni di strumenti, ulteriori invenzioni tecnologiche, ulteriori connessioni autoaccrescenti.[9]
E qui possiamo chiederci se pure ciò che comunemente viene richiamato con la parola arte non sia tanto una raccolta di particolari prodotti (reificati e mercificati) quanto un processo, ossia una particolare tecnica che, come tutte le altre unificate nel technium, è mossa da una specifica capacità “volitiva” orientata verso una propria evoluzione che procede unitamente con l’evolversi della specie umana; partecipe di questa eppure da questa in qualche modo distinta e regolata da specifiche leggi di ordine visivo – perchè di questo trattiamo - che si sviluppano similmente ad ogni altro linguaggio degli uomini.[10]
Più avanti, avremo modo di constatare come in effetti le arti visuali contemporanee si siano andate configurando sempre più come processi piuttosto che come prodotti; ed è considerando l’arte come processo che la sua estetica diviene facilmente spiegabile e accessibile, poiché come tale non intende rispondere alla vecchia domanda: che cosa significa questa opera? ma più semplicemente distrugge la domanda stessa in quanto non trascendente dall’oggetto, ma lo tiene fermo e lo interroga soprattutto circa i suoi rapporti con tutti gli altri elementi del suo proprio ambiente.[11]
Vediamo ad esempio come l’illustre conservateur e curatore di mostre d’arte Jean Clair riassume con queste parole una gran parte dell’arte moderna:
“La storia dell’arte americana, da Duchamp al minimalismo [12] - Donald Judd, Robert Morris, Kenneth Noland, David Smith… - evoca un’arte che ripete instancabilmente che non c’è niente da leggere nelle forme e nei colori della modernità, né una memoria, né un ricordo, né un simbolo, che non c’è alcun senso da scoprire o emozione da provare, solo forme e colori, nient’altro che forme e colori, che non esprimono altro che se stessi: ”A rose is a rose is a rose…”, un blu è un blu è un blu, un cubo è un cubo è un cubo…” [13]




Sono dichiarazioni tautologiche, ma hanno il merito di affermare i limiti del “sè stesso”, dell’opera d’arte e dell’artista... – passaggio obbligato prima della definitiva rottura dei rispettivi limiti.
Mentre per l’accademico francese questa descrizione è frutto di un’afflizione nel constatare lo stato dell’arte attuale, per noi è piuttosto conferma che l’arte visuale della piena maturità borghese ha già rotto le catene che la tenevano avvinta alla narrazione, alla letteratura, al sacro, alla mimesi della natura e con ogni altra faccenda che esorbita dalla sua determinatezza oggettuale; e con ciò ha liberato anche il nostro sguardo su di lei da ogni interpretazione digressiva che ci allontana dalla presa sensibile sull’opera per farci smarrire nelle nebbie immateriali delle idee, della “cultura”, delle “opinioni” e consegnarci così alle autorità della cultura dominante e dell’ideologia.
Un noto artista italiano della corrente Fluxus degli anni sessanta proclamava che “l’arte è facile”. [14]
Noi non abbiamo nessuna ragione per non prendere in parola questo enunciato e precisare: facile da fare come da capire, e constatare così che la rivoluzione, anche in assenza della sua azione diretta, provvede immancabilmente ad erodere, quale vecchia talpa, tutte le forme consolidate che sbarrano il futuro: sta a noi avvedersene e trarne auspici.

Teoria addomesticata del battilocchio 

Ad un livello più circoscritto della specie umana, c’è anche il singolo e la sua persona, o, per noi adesso: l’artista e il sommo artista, ossia: il Genio.[15]
Riguardo questo elemento sociale che torna sempre ad impallare l’ampiezza dell’intera scena, ricordiamo che in una lettera inviata a Ottorino Perrone, Amadeo Bordiga gli riferisce che in occasione della pubblicazione del Dialogato con Stalin, i compagni tutti soddisfatti e  decisi a farne una grande diffusione, gli avevano chiesto di autografare le copie. La cosa lo aveva mandato in bestia: “Ma come – gli risponde Amadeo - stiamo facendo un’azione di studio sulla faccenda del battilocchio e voi volete l'autografo sul libro? Ma non vi do neanche il libro!".
Amadeo riferisce a Perrone e scherzarono un po' su questo fatto; ma presto la discussione prese una brutta piega e i compagni cominciano a sostenere che erano d'accordo con la teoria del battilocchio per quanto riguarda la politica dei grandi uomini, i Napoleone o Giulio Cesare, ma riguardo i Michelangelo, Raffaello o Fidia, la genialità conta e la teoria del battilocchio si ferma e non ha più la potenza sufficiente per spiegarli. Il fenomeno artistico insomma uscirebbe dai canoni marxisti e andrebbe affrontato in modo diverso rispetto alla generale teoria del battilocchio. Ottorino Perrone gli risponde che anche lui è d'accordo con quelli che hanno la teoria del battilocchio artistico.
In seguito Amadeo gli risponderà per lettera, confidandogli che "Antonietta mi ha pregato di aspettare un paio di settimane prima di risponderti, altrimenti avrei fatto un macello e ti rispondo con la massima calma possibile"… e invece lo insulta, gli fa una sfuriata tremenda, e la faccenda si chiude così.
L'aneddoto è utile per capire quanto siano talmente radicate certe convinzioni da poter resistere inalterate anche nel convincimento di compagni che avevano approfondito l’argomento collaborando alla stesura della  serie dei “fili del tempo” sul battilocchio.
L’immersione in un ambiente borghese esercita una influenza sottile ma così tenace da far cadere anche i più preparati nella falsa convinzione che Michelangelo sia un po' diverso da Giulio Cesare.[16]
Ma noi sappiamo come questo non sia vero, e non ci metteremo a ripeterlo ancora una volta in questa occasione. [17] .

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NB: Molte note di fondo pagina sono frammiste con appunti di carattere interlocutorio, mantenuti solo in funzione di promemoria di temi o argomenti da svolgere o approfondire eventualmente in seguito. Ma, a ben vedere, anche l’intero lavoro finora prodotto non è molto più che un registro di annotazioni precauzionali per l’esame di uno specifico campo: quasi un brogliaccio estemporaneo.

[1] - Amadeo Bordiga, relazione di Bordiga, registrata a Firenze il 20 marzo 1960, ora nella rivista n.15-16 del 2004, con il titolo "Dal mito originario alla scienza unificata del domani”.
[2] - V. van Gogh, lettera a Theo, Nieuw-Amsterdam domenica 28 ottobre 1883 (n. 400-335).
[3] - Prendete pure questa presentazione come un invito ad intenderci, ma contiamo sul vostro intuito per far sì che il nostro parlare vi indirizzi rapidamente al giusto senso delle parole, evitandoci troppi scrupoli e pedanti delucidazioni circa i termini utilizzati, e forse improvvisati, di volta in volta. Ma soprattutto contiamo su voi per non “straparlare”, cioè per non uscire dai binari che ci appartengono.
[4] - Vedremo più avanti che le avanguardie storiche del 900 si sono poste e misurate quasi tutte con la questione di superare la divisione tra arte e vita; e forse oggi (ultima fase del capitalismo) questa divisione non esisterebbe neppure più del tutto come allora (nel comunismo primitivo), non fosse per il valore che l’attuale marasma sociale capitalistico è “abituato” ad assegnare tradizionalmente a queste particolarissime merci (di rappresentanza, lusso e intrattenimento) che si aggirano ancora attorno a noi come fantasmi spettacolari, o se ne stanno rattrappite come salme nei caveau delle banche… D’altronde gli uomini non sono mai stati estranei al culto dei morti (poiché ostinata è la memoria personale di quando il loro corpo si aggirava vivo tra noi…). 
[5] - Nel classico procedere dall’inizio dei tempi (preistorici) per giungere infine ad oggi, vi si può anche scorgere l’idea di una visione evolutiva gradualista, lineare e sinuosa, che con l’abitudine si fissa ideologicamente in opposizione a quella delle “catastrofi” e dell’improvviso capovolgimento della prassi. Il classico procedere cronologico dall’epoca antica alla moderna, è solo apparentemente conveniente, ma del tutto inadeguato per la comprensione dell’oggetto della nostra analisi. Ricordiamo quanto dice Marx per la forma denaro: “benché la categoria più semplice possa essere esistita storicamente prima di quella più concreta, essa può appartenere nel suo pieno sviluppo intensivo ed estensivo solo ad una forma sociale complessa, mentre la categoria più concreta era già pienamente sviluppata in una forma sociale meno evoluta” (Lineamenti fondamentali…, cit.. vol. I, pag. 30). Dunque: l’arte appartenente ad una forma sociale complessa (per quanto può apparirci in forme screditate o repellenti - e forse proprio per questo) è la chiave per comprendere l’arte delle forme meno evolute. - Cfr. qui, nota 6 della seconda parte.
[6] - Il testo  della relazione è in n+1 n.15-16, giugno-settembre 2004, e nella rivista cartacea da pag. 68.
[7] - Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Tomo III parte II, pag, 474 seg.
[8] - Riunione di Firenze, 20 marzo 1960, ora in N+1 15-16, pag 109 e seg.
[9] - Kevin Kelly, Quello che vuole la tecnologia, 2010; ed italiana Feltrinelli, Torino 2013. – Cinque anni prima di Kelly, WJT Mitchell (un autorevole studioso dell’arte), si era chiesto “Cosa vogliono le immagini?” (What do pictures want?).
[10] - L’arte è una “tecnologia” con un suo specifico “artenium” nel quale muoversi ed evolversi? (il suo coevolvere con l’uomo) – In questo caso, quale sarebbe il suo scopo “pratico”? – La formalizzazione verso la “bellezza” (e la bellezza stessa) è cioè null’altro che una tecnica fattuale, costruttiva, progettativa e riprogettativa ?… di cosa particolarmente, in verità?
[11] - (Il feticismo dominante del mondo delle merci, consente di riconoscere all’immagine delle virtù proprie: lo soggettivizza – d’altra parte solo così, dandogli libertà, l’uomo può liberarsi dalla sua presa).
[12] - La minimal art è la principale tendenza che negli anni sessanta fu protagonista del radicale cambiamento del clima artistico, caratterizzata da un processo di riduzione della realtà, dall'antiespressività, dall'impersonalità, dalla freddezza emozionale, dall'enfasi sull'oggettualità e fisicità dell'opera, dalla riduzione alle strutture elementari geometriche.
[13] - Jean Clair,  L'Inverno della Cultura, ed. Skira, settembre 2011, pgg. 14-15.
[14] - Si tratta di un’opera grafica (cm. 100 x 70) del 1973, di Giuseppe Chiari, ripresa dall’autore negli anni ottanta per esprimere la nuova situazione dell’artista che torna in sella aggiungendo: …ma per dire questo devo fare un gesto di arte difficile.
[15] - Marx - Engels, L’Ideologia tedesca - San Max III, 2.Organizzazione del lavoro, cit., pag. 381. "Anche qui, come sempre, Sancio (Stirner) ha la sfortuna con i suoi esempi pratici. Egli pensa che nessuno potrebbe "fare al posto tuo le tue composizioni musicali, eseguire i dipinti da te abbozzati. Nessuno può sostituire i lavori di Raffaello". Ma Sancio dovrebbe sapere che un altro, e non Mozart, ha composto e steso la maggior parte del 'Requiem' di Mozart, che Raffaello ha "eseguito" personalmente la minor parte dei suoi affreschi. Egli immagina che i cosiddetti organizzatori del lavoro vogliano organizzare l'attività totale di ciascun individuo, mentre proprio essi distinguono fra il lavoro direttamente produttivo, il quale va organizzato, e il lavoro non direttamente produttivo. Ma in questi lavori essi non pensano, come immagina Sancio, che ciascuno debba lavorare al posto di Raffaello, bensì che chiunque abbia la stoffa di un Raffaello debba potersi sviluppare senza impedimenti. Sancio immagina che Raffaello abbia eseguito i suoi dipinti indipendentemente dalla divisione del lavoro che esisteva a Roma al suo tempo. Se confronta Raffaello con Leonardo da Vinci e Tiziano, vedrà come le opere del primo fossero condizionate dal fiorire della Roma dell'epoca, giunta al suo pieno sviluppo sotto influenza fiorentina, come le opere di Leonardo fossero condizionate dalla situazione di Firenze e quelle di Tiziano, più tardi, dallo sviluppo affatto diverso di Venezia. Raffaello, come ogni altro artista, era condizionato dai progressi tecnici dell'arte compiuti prima di lui, dall'organizzazione della società e dalla divisione del lavoro nella sua città e infine dalla divisione del lavoro in tutti i paesi con i quali la sua città era in relazione. Che un individuo come Raffaello possa sviluppare il suo talento dipende dalla divisione del lavoro e dalle condizioni culturali degli uomini che da essa derivano.
[16] - Dalla Lettera di Engels a Walther Borgius, 25 gennaio 1894: "Gli uomini fanno essi la loro storia, ma finora non con una volontà generale e secondo un piano generale, neppure in una data società limitata. Le loro aspirazioni si contrariano; ed in ogni simile società prevale appunto per questo la necessità, di cui l'accidentalità è il complemento e la forma di manifestazione. Ed allora appaiono i cosiddetti grandi uomini. Che un dato grand'uomo, e proprio quello, sorga in quel determinato tempo e in quel determinato luogo, è naturalmente un puro caso. Ma, se noi lo eliminiamo, c'è subito richiesta di un sostituto, e questo sostituto si trova, tant bien que mal, ma alla lunga si trova. Che Napoleone fosse proprio questo corso, questo dittatore militare che la situazione della repubblica francese, estenuata dalle guerre, rendeva necessario, è un puro caso, ma che in mancanza di Napoleone ci sarebbe stato un altro ad occuparne il posto, ciò è provato dal fatto che ogni qualvolta ce n'era bisogno l'uomo si è trovato sempre: Cesare, Augusto, Cromwell, ecc." - (citata in Il battilocchio nella storia, Programma Comunista n.7 1953).
[17] - Non credo si possa negare la particolarità (diversità) del prodotto individuale nel quadro complessivo dei prodotti messi a confronto – così come Marx non la negava a Balzac o a Shakespeare - bensì l’eccezionalità d’azione del singolo isolato dalla società e l’enfasi celebrativa che si attribuisce alla persona che, trasformata in battilocchio, fa si che la visione del processo reale di produzione si restringa  appunto alla sua figura, come colta nell’istante da una camera fotografica che scatta sul singolo (statico) ed impedisce di vedere tutte le forme e le forze (cinematiche) che sono al lavoro… [la staticità è un limite dell’immagine che può essere colmato solo dalla didascalizzazione (wb) e/o dalla critica]. Nell’episodio ricordato, il lavoro di Bordiga era lavoro del Partito, e che questa potesse emanare da un singolo (a cui si richiede l’autografo) è una contraddizione. - Certo, un conto è una mera raccolta e classificazione dei prodotti artistici, altro è coniugare i loro produttori con la genialità della persona, la privata dotazione eccezionale e il suo culto ecc. fuori da un piano generale “finora” seguito dalla specie... Detto questo, date le condizioni attuali di sbandamento teorico, non si farà mai abbastanza per smontare l’illusione del protagonismo, mai abbastanza per ridare alla società tutto ciò che la società ha prodotto sempre collettivamente, e continuerà a produrre nella società futura con la completa comunanza delle sue risorse di specie.

IMMAGINI
In alto - Foto di scena dal set del film The Woman in the Window, di Fritz Lang del 1944.
Colonna 1:
- Gustave Courbet 1850. Funerale a Ornans (Un enterrement à Ornans). olio su tela. cm.315x668, museo d'Orsay, Parigi;
Colonna 2, dall'alto:
- Jan van Eyck, databile 1436, Madonna del canonico van der Paele, olio su tavola cm.122,12x57,8, Museo Groeninge, Bruges;
- Barnett Newman, Cathedra, olio su tela cm.243x543, Stedelijk Museum, Amsterdam;
- (da sinistra): Robert Morris 1961, Scatola con rumori della realizzazione dell'opera stessa, cubo di legno con banda magnetica, cm.24,8 , Seattle Art Museum;
- Tony Smith, 1962(68), Die, cubo in ferro cm.182,9, di , Whtney Museum,
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Andy Warhol 1964, Brillo box, pittura sintetica e serigrafia su legno, cm.43.3x43.2x36.5, Museum of Modern Art, New York;
- Giuseppe Chiari 1973, grafite su carta cm.100x701973, archivio Fondazione de Marchis, L'Aquila.
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