Una conversazione di Giulia Guidi, responsabile dell’archivio del Centro Di di Firenze, con Francesca, Silvana ed Ermes Zattoni
Come nasce l’interesse per Ben Vautier?
è presto detto: è uno degli ultimi agitatori Fluxus. Giancarlo Politi nel 1993 ha pubblicato una lunga intervista a Ben Vautier utile a capire il ruolo che ha anche oggi nell’arte contemporanea.
La nostra attenzione per questo movimento non poteva prescindere da lui. Perché ci interessano le differenze, le marginalità, gli inadeguati, i diversi, i trascurati, le minoranze, le rotture, i sovversivi insomma tutto quello che altri ritengono minore o fuori dagli schemi.
Così nel nostro percorso ci imbattiamo in artisti imprescindibili, come Ben.
Ci interessano le idee più della loro realizzazione.
Ben ha dichiarato di sentirsi un vecchio combattente che ritiene Fluxus importante perché negli anni sessanta ha avuto un ruolo anti-arte, non arte, contro-arte, contro la produzione stessa dell’opera.
Anche se Fluxus non è riuscito a cambiare l’arte che ancora oggi risponde a precise regole di mercato.
Per Ben Fluxus non è mai stato organico alla cultura borghese, infatti i suoi componenti hanno sempre privilegiato la vita che viene dall’arte.
Oggi chi discute di Fluxus non è l’avanguardia newyorkese, ma il mondo pluriculturale e quando John Cage dice che tutto è musica, include quella di tutti, come quando Duchamp dice che tutto è arte apre alle diverse culture, contro il potere del denaro che in Occidente vuole omologare tutto in una sola cultura dominante.
Parliamo della mostra al Centro Di. Cosa avete esposto?
In mostra c’è pochissima arte nel senso di opere tradizionali, mentre si privilegia un certo numero di materiali e documenti di Ben, a partire dall’inizio degli anni sessanta. Alcuni fuori circolazione o esauriti perché destinati a interagire in un preciso momento. Altri sono documenti teorici, di lavoro, propositivi, dialoganti. Ad esempio parole scritte, soprattutto parole dattiloscritte su carta, raccolte da Dany Gobert durante la sua relazione con Ben nell’esperienza del Théâtre Total, che a partire dal 1962 ha proposto azioni, happening, eventi dove la partecipazione diretta del pubblico eliminava la separazione tra spettatori e attori. Una specie di shock teatrale vero e proprio per coinvolgere e comunicare un messaggio o un’idea tramite la sua azione reale.
Completano l’esposizione la “Newsletter” di Ben, una sezione dedicata alla nostra attività che raccoglie i cataloghi delle mostre organizzate e le edizioni curate e una piccola scelta di materiali relativi a esponenti di Fluxus come George Maciunas, Yoko Ono, Robert Watts, George Brecht.
Collezionare arte contemporanea significa a volte entrare in contatto diretto con l’artista; è successo anche con Ben?
Abbiamo acquistato nel 1992 Encore une année de passée a ne rien foutre, un’opera nella quale l’ironia è una delle chiavi di lettura per comprendere il provocatorio lavoro dell’artista.
Ma l’incontro vero e proprio con Ben è avvenuto grazie all’opera Pas d’art del 1964, acquistata a Nizza nel 2010, appartenuta a Dany Gobert.
Un incontro motivato dall’interesse a comprendere il significato che aveva l’opera per l’artista stesso, essendo un quadro storico.
Quello che ci interessa è capire come il collezionista può entrare nel percorso che l’artista compie.
Le possibili relazioni che si possono instaurare e quali occasioni vengono offerte, al di fuori della stringente logica mercantile, a chi è un piccolo collezionista.
Quando è possibile fare un percorso parallelo che prevede incontri, occasioni, mostre, fortunatamente più culturali che altro, allora ci rendiamo conto di non aver acquistato solo un’opera d’arte ma molto di più: un’occasione di vita.
La scelta di comprare Pas d’art è legata alla serie di documenti che il precedente proprietario aveva conservato.
Il primo giorno del 2011 siano andati a casa di Ben a Saint-Pancrace per incontrarlo e quando ha visto l’opera ha esclamato: “Non è mia!”.
Fortunatamente Annie, la moglie, ha una memoria viva e gli ha ricordato che il quadro era stato realizzato per un’occasione teatrale e la scritta non è stata creata colando il colore sulla tela ma in modo tradizionale.
Così è nato un rapporto cordiale e siamo tornati in Italia con il quadro, alcune foto e sei bottiglie di “le jaja de jau” a ricordo dell’incontro. Un buon Syrah del 2008 che nell’etichetta sul retro riporta: “Le jaja c’est le mot d’argot pour vin de tous les jours, le vin plaisir, le vin de soif”.
Ne sono seguiti altri di incontri. Anni prima alla galleria Centre du Monde avevamo conosciuto Luna, un dolce mastino napoletano inseparabile per Ben.
Sono continuate le visite, i dialoghi, a Saint-Pancrace. Luna non c’è più, ma ci sono altri tre molossi del Sud Italia meno socievoli.
Il nostro interesse per il Sud della Francia ci ha portato a frequentare la Galerie Espace à debattre et Espace A VENDRE, sempre a Nizza, e a partecipare alle serate organizzate da Ben come performer.
Alcune fotografie esposte in mostra raccontano la sua inesauribile vitalità.
Il rapporto con Ben Vautier si è limitato agli incontri o continua in altre forme?
Dal 2 marzo 2011 Ben ha iniziato a inviarci le sue email quasi settimanali. Siamo arrivati a oltre 2.500 pagine di vita raccontate direttamente, che costituiscono un corpus originale della personalità dell’artista. C’è tutto Ben, a 360 gradi.
Quando il Centro Di, che ha una storia bellissima alle spalle di edizioni d’arte iniziata nel 1968, ci ha chiesto di esporre quello che avevamo raccolto su Ben, è stato subito naturale che la mostra fosse imperniata sulla relazione dell’artista con il collezionista.
Abbiamo ritenuto di dare un ‘corpo’ ai pensieri di Ben espressi nell’arco di 2.759 giorni, attraverso le sue “Newsletter”, perché le parole ricevute sono la testimonianza che l’artista ha scelto di parlare con gli altri usando una tecnologia (la posta elettronica) oramai datata, ma efficace.
Ha scelto di scrivere anche a noi. Quindi perché non farci venire un’idea? Perché non dare una fisicità ai pensieri?
Non un libro, ma qualcosa che deve essere in divenire. Un contenitore di parole. Anche estraibili.
Seppur la tentazione di avvicinarsi al secondo catalogo pubblicato dal Centro Di, Alternative attuali 3, vista la mole delle parole, era forte: un nero blocco di carta, un parallelepipedo. In mostra si è potuto vedere il risultato della decisione finale.
Parliamo ora un po’ più in generale della vostra collezione, di cui il materiale di Ben non è che una piccola sezione. Quando, come e perché è iniziata?
Se per collezione si intende la raccolta di opere di interesse storico o artistico di rilievo, quindi anche economico, non è il nostro caso. Quello che abbiamo compiuto è semplicemente un percorso culturale, dettato dalla curiosità e dal piacere personale che si prova a percorrere strade poco ortodosse.
Le prime opere entrate nella nostra collezione, a metà degli anni settanta, sono state quelle dell’Arte Povera. Quando si potevano comprare a prezzi accessibili i lavori di Boetti, Calzolari, Fabro, Kounellis, Merz, Paolini, Penone, Pistoletto, Prini abbiamo pensato che il testo di Celant pubblicato da Mazzotta Editore non doveva essere la sola traccia a farci quotidiana compagnia.
Nel 2000 abbiamo esposto alla Galleria Rigo di Novigrad alcune opere della nostra collezione assieme a quelle di Abramović, Agnetti, Cage, Chiari, Cintoli, Isgrò, LeWitt, Mondino, Parmiggiani e dei Poirier.
La prima cosa che ci guida nelle scelte è l’interesse per il libro in quanto contenitore attivo di sapere.
Quindi se qualcuno ci vuole vedere come collezionisti d’arte deve partire dal nostro interesse per la carta stampata.
Sì, siamo certamente collezionisti della parola e dell’immagine riprodotta in forma editoriale non banale e sorprendente, prima ancora che di opere.