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APPENDICE alla Nota 2 § [ un puntiglio] - Confronto tra due traduzioni de L’Origine dell’opera d’arte
In Sentieri interrotti, cura di Enzo Chiodi, ed. La Nuova Italia, Firenze 1968: Origine 68Ni In Holzwege, sentieri erranti nella selva, cura di V. Cicero, Bompiani 2006-2002: Origine Bo06
1 – dal Preambolo, p. 5

Tutti conoscono opere d’arte… Se guardiamo le opere nella loro realtà immediata e senza preconcetti, si fa chiaro che esse si trovano lì dinanzi nella loro semplice-presenza né più né meno delle cose. Il quadro pende dalla parete allo stesso modo di un fucile da caccia o di un cappello. Un quadro, ad esempio quello di Van Gogh che rappresenta un paio di scarpe da contadino, passa da una esposizione all’altra. Le opere sono spedite come il carbone della Ruhr e il legnamedella Selva Nera. Durante la guerra gli inni di Hölderlin erano impacchettati negli zaini accanto agli oggetti da pulizia. I quartetti di Beethoven sono disposti nei magazzini della casa editrice come le patate in cantina.
1 dal Preambolo, p. 7-8

Ognuno conosce opere d’arte… Le opere hanno una sussistenza naturale come ce l’hanno in genere anche le cose. Il dipinto è appeso alla parete nello stesso modo di un fucile da caccia o di un cappello. Il quadro, p.es. quello di Van Gogh che raffigura un paio di scarpe contadine, viaggia da una esposizione all’altra. Le opere vengono spedite come il carbone dalla Ruhr e il legname dalla Foresta Nera. Durante la guerra gli inni di Hölderlin erano stipati negli zaini accanto agli strumenti per l’igiene personale. I quartetti di Beethoven giacciono nei depositi della casa editrice così come le patate in cantina.
2 – cap. La cosa e l’opera, p. 18

Ci potremo garantire di questo pericolo (“dal cadere in quei forzamenti che caratterizzano le interpretazioni abituali”) se incominceremo con la semplice descrizione di un mezzo qualsiasi, senza teorie filosofiche. Consideriamo, a titolo di esempio, un mezzo assai comune: un paio di scarpe da contadino. Per descriverle non occorre affatto averne un paio sotto gli occhi. Tutti sanno cosa sono. Ma poiché si tratta di una descrizione immediata, può essere utile facilitare la visione sensibile. A tal fine può bastare una rappresentazione figurativa. Scegliamo, ad esempio, un quadro di van Gogh, che ha ripetutamente dipinto questo mezzo. Che c’è in esso da vedere? Ognuno sa come son fatte le scarpe. Se non si tratta di calzature di legno o di corda, hanno la suola di cuoio e la tomaia unita alla suola con cuciture e chiodini. Questo mezzo serve da calzatura. Col variare dell’uso – lavoro nei campi o danza – variano la forma e la materia.
2 – cap. La cosa e l’opera, p. 24

Ci assicuriamo al meglio contro questa eventualità (di “contraffazioni e sopraffazioni tipiche delle interpretazioni consuete” riguardo la strumentalità e lo strumento) se descriviamo uno strumento in modo semplice, senza far intervenire alcuna teoria filosofica. Come esempio scegliamo uno strumento abituale: un paio di scarpe contadine. Per la loro descrizione non c’è affatto bisogno del modello di esemplari reali di questo tipo di strumento d’uso. Le scarpe sono note a tutti. Ma visto che ci importa una descrizione immediata, può essere opportuno facilitarne la visualizzazione. Per un aiuto in tal senso basta una rappresentazione figurativa. Scegliamo per ciò un noto quadro di Van Gogh, il quale ha più volte dipinto questo tipo di calzatura. Ma che c’è qui da vedere? Chiunque sa com’è fatta una scarpa. A meno che non si tratta di zoccoli di legno o calzari in corda, vi si trovano la suola di cuoio e la tomaia, entrambe congiunte con costure e chiodini. Questo strumento serve da rivestimento dei piedi. Al variare della servibilità – per lavorare nei campi o per danzare -, variano materia e forma.
3 – cap. La cosa e l’opera,  p. 19

Fin che noi ci limitiamo a rappresentarci un paio di scarpe in generale o osserviamo in un quadro le scarpe vuotamente presenti nel loro non-impiego, non saremo mai in grado di cogliere ciò che, in verità, è l’esser-mezzo del mezzo. Nel quadro di van Gogh non potremmo mai stabilire dove si trovino quelle scarpe. Nell’orificio oscuro dell’interno logoro c’è solo uno spazio indeterminato. Grumi di terra dei solchi o dei viottoli non vi sono appiccicati, denunciandone almeno l’impiego. Un paio di scarpe da contadino e null’altro. E  tuttavia… Nell’orificio oscuro dell’interno logoro si palesa la fatica del cammino percorso lavorando. Nel massiccio pesantore della calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile. Il cuoio è impregnato dell’umidore e del turgore del terreno. Sotto le suole trascorre la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala. Tra le scarpe passa il silenzioso richiamo della terra, il suo tacito dono di messe mature e il suo oscuro rifiuto nell’abbandono invernale. Dalle scarpe promana il silenzioso tremore dell’annuncio della nascita, l’angoscia della prossimità della morte. Questo mezzo appartiene alla terra, e il mondo della contadina lo custodisce. Da questo appartenere custodito, il mezzo si immedesima nel suo riposare in sé stesso. Ma forse tutto ciò non lo vediamo che noi nel quadro. La contadina, invece, porta semplicemente le sue scarpe. Se almeno questo “semplice portare” fosse davvero semplice!
3 – cap. La cosa e l’opera,  p. 25-26

Finché invece ci limitiamo a tener presente un paio di scarpe in generale, oppure a osservare in un’immagine delle scarpe che se ne stanno meramente lì, vuote, inutilizzate, non faremo mai esperienza di ciò che la strumentalità dello strumento è in verità. Nel quadro di Van Gogh non siamo nemmeno in grado di stabilire dove stiano quelle scarpe a . Intorno a quel paio di scarpe da contadino non c’è nulla di cui e in cui potrebbero esser parte, solo uno spazio indeterminato. Non vi sono neppure attaccate zolle di terra del solco agreste o del sentiero campestre, che potrebbero almeno alludere al loro impiego. Un paio di scarpe contadine e nulla più. E tuttavia…Nell’oscura apertura dell’interno scalcagnato dello strumento-scarpa è impressa la fatica dei passi compiuti lavorando. Nella massiccia pesantezza dello strumento-scarpa è trattenuta la tenacia del lento cammino lungo gli estesi e sempre uguali solchi del campo, che un vento aspro percuote. Sul cuoio ristagna l’umidità e fecondità del terreno. Sotto le suole si trascina la solitudine del sentiero campestre al calar della sera. Nello strumento-scarpa vibra il tacito e segreto appello della terra, il suo silente dono di messi maturande e il suo inesplicato rifiutarsi nella deserta aridità del campo invernale. Da questo strumento traspirano la dignitosa apprensione per la sicurezza del pane, la muta gioia del sopravvivere al bisogno, la trepidazione all’annuncio della nascita e l’angoscia per l’incombente minaccia della morte. Questo strumento appartiene alla terra ed è custodito nel mondo della contadina. Sulla base di questo custodito appartenere, lo strumento stesso inizia a stare nel suo quiescere entro sé.Ma forse tutto ciò siamo noi a vederlo nello strumento scarpa del quadro. La contadina, invece, semplicemente porta le scarpe. Come se questo semplice portare fosse davvero così semplice!a
Ed. Reclam 1960: “e a chi appartengano”.
4 – cap. La cosa e l’opera, p. 21

Ciò che abbiamo potuto stabilire è l’esser mezzo del mezzo. Ma come? Non mediante la descrizione e l’analisi di un paio di scarpe qui presenti. Non mediate l’osservazione dei procedimenti di fabbricazione delle scarpe, e neppure mediante l’osservazione di un qualche uso di calzature. Ma semplicemente ponendoci innanzi a un quadro di Van Gogh. E’ il quadro che ha parlato. Stando nella vicinanza dell’opera, ci siamo trovati improvvisamente in una dimensione diversa da quella in cui comunemente siamo. L’opera d’arte ci ha fatto conoscere che cosa le scarpe sono in verità. Sarebbe un errore esiziale quello di credere che la nostra descrizione, con procedimento soggettivo, abbia immaginato tutto ciò, attribuendolo poi a un oggetto.
4 – cap. La cosa e l’opera, p. 27-28

La strumentalità dello strumento è stata trovata. Ma in che modo? Non mediante una descrizione e spiegazione di un paio di scarpe realmente presenti davanti a noi; non mediante un resoconto sul processo di fabbricazione delle scarpe; e neppure mediante l’osservazione di un qualche reale impiego di calzature, bensì: solo portandoci davanti al quadro di Van Gogh. E’ stato il quadro a parlare. Nella vicinanza dell’opera, siamo stati improvvisamente altrove, in un logo diverso da quello in cui stiamo di solito e che ci è abituale. L’opera d’arte ci ha fatto sapere che cosa lo strumento-scarpa è in verità. Per noi sarebbe un pessimo autoinganno se credessimo che sia stata la nostra descrizione, intesa come un fare soggettivo, a figurarsi tutto ciò e ad applicarlo poi al quadro.
 
5 –  cap. La cosa e l’opera, p.  21

Che significa ciò? Che cos’è in opera nell’opera? Il quadro di Van Gogh è l’aprimento di ciò che il mezzo, il paio di scarpe, è [ist] in verità. Questo ente si presenta nel non-nascondimento [Unverborgenheit] del suo essere. Il non-esser-nascosto dell’ente è ciò che i Greci chiamavano άλήεια.  Noi diciamo: “verità”, e non riflettiamo sufficientemente su questa parola. Se ciò che si realizza è l’aprimento dell’ente in ciò che esso è e nel come è, nell’opera è in opera l’evento [Geschehen] della verità.
5 -  cap. La cosa e l’opera, p. 28

Che cosa accade qui? Che cos’è all’opera nell’opera? Il quadro di Van Gogh è l’apertura inaugurale di ciò che lo strumento, il paio di scarpe contadine, è in verità. Questo essente nasce nell’inascosità del suo essere. L’inascosità dell’essente i Greci la chiamavano άλήεια. Noi diciamo “verità”, e non pensiamo a sufficienza cosa implichi questa parola. Se ciò che accade qui è un’apertura inaugurale dell’essente in ciò che esso è e nel modo in cui è, allora nell’opera è all’opera un accadere della verità.
6 – cap. La cosa e l’opera, p. 22

Ma  crediamo veramente che nel quadro di Van Gogh si ritrae la semplice-presenza di un paio di scarpe e che esso è un’opera d’arte perché l’intento è riuscito? Pensiamo forse che il quadro assume una copia del reale e la presenta come un prodotto della produzione artistica? Per nulla.
6 – cap. La cosa e l’opera, p. 29

Ma crediamo davvero che quel quadro di Van Gogh ritragga un paio di scarpe contadine esistenti e che esso sia un’opera d’arte per il fatto di adempiere a questo scopo? Pensiamo che il quadro tragga una copia del reale e la trasponga nel prodotto di una… produzione artistica? Nient’affatto.
7 – cap. Opera e verità, p. 26

In che rientra l’opera? In quanto tale essa rientra unicamente nel dominio che, in virtù sua, risulta dischiuso. Infatti l’esser opera dell’opera  è presente [west] soltanto in questo dischiudimento. Abbiamo detto che nell’opera è in opera il farsi evento storico della verità. Il rinvio al dipinto di Van Gogh si proponeva di indicare questo evento. Sorge così il problema dell’essenza e della storicizzazione possibile della verità.
7 – cap. L’opera e la verità, p. 35

A quale luogo appartiene un’opera? In quanto opera, l’opera appartiene unicamente al dominio che viene aperto e inaugurato mediante essa stessa. Infatti l’operatività dell’opera essenza solo ed esclusivamente in tale apertura inaugurale. Abbiamo detto che nell’opera sarebbe all’opera l’accadimento della verità. Il rinvio al dipinto di Van Gogh tentava di nominare questo accadimento. Riguardo a ciò è emersa una questione: Che cos’è verità e in che modo può accadere verità?
8 – cap. Opera e verità, p. 40-41

Nel quadro di Van Gogh si storicizza la verità. Ciò non significa che qualcosa di semplicemente presente venga esattamente riprodotto, ma che nel palesarsi dell’esser mezzo delle scarpe pervengono al non-esser-nascosto l’ente nel suo insieme, il Mondo e la Terra nel loro gioco reciproco.Nell’opera è quindi in opera la verità, e non soltanto qualcosa di vero. Il quadro che mostra le scarpe da contadino, la poesia che dice la fontana romana, non si limitano a far conoscere; anzi, a rigor di termini, non fanno conoscere nulla circa questi enti singoli, ma fanno sì che si storicizzi il non-esser-nascosto come tale, in relazione all’ente nel suo insieme. Quanto più semplicemente ed essenzialmente proprio solo le scarpe, quanto più schiettamente e puramente solo la fontana emergono nella loro essenza, e tanto più immediatamente e profondamente ogni ente diviene, assieme ad esse, più essente. E’ questo il modo in cui viene illuminato l’essere autonascondentesi. La luce così diffusa ordina il suo apparire nell’opera. L’apparire ordinato nell’opera è il bello. La bellezza è una delle maniere in cui è-presente [west] la verità.
8 – cap. L’opera e la verità, pag. 52-53

Nel quadro di Van Gogh accade la verità. Ciò non significa che nel quadro venga ritratto correttamente qualcosa di esistente, ma che, nel divenir-manifesta della strumentalità dello strumento-scarpa, giunge nell’inascosità l’essente nella sua interezza, -mondo e terra nel loro gioco di contrapposizioni.Nell’opera è all’opera la verità stessa, dunque non soltanto qualcosa di vero. Il dipinto che mostra le scarpe contadine, la poesia che dice la fontana romana, non si limitano a mostrare ciò che questi essenti isolati sono come tali – sempre ammesso che lo mostrino-, bensì lasciano accadere l’inascosità  come tale in relazione all’essente nella sua interezza. Quanto più semplicemente ed essenzialmente le sole scarpe e quanto più schiettamente e puramente la sola fontana sorgono nella loro essenza, tanto più immediatamente e avvincentemente ogni essente diviene, insieme a esse, più essente. E’ questo il modo in cui viene illucato l’essere nascondentesi. La luce così scintillata compagina e ordina il proprio trasparire nell’opera. Il trasparire compaginato e ordinato nell’opera è il bello come il trasparente e scintillante. Bellezza in quanto scintillante trasparenza, è una delle modalità in cui verità essenzia come inascosità.






VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES