[ 4a figura inesistente ]
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Sembra proprio che io voglio credere, e farvi credere, che il dipinto di van Gogh che balena cinque anni dopo alla luce del ricordo di Heidegger sarebbe una sorta di figura trinaria unificata dallo spirito della merce.
Come definire altrimenti un paio di scarpe da contadino prive di “grumi di terra dei solchi o dei viottoli”, “vuotamente presenti nel loro non-impiego” in “uno spazio indeterminato”[1], se non come delle scarpe messe in vetrina per esser messe in vendita – in un negozio della metropoli (come sosterrebbe Schapiro), o in un emporio della provincia contadina (come immaginerebbe Heidegger)?
Ma queste scarpe di van Gogh ci guardano forse con lo sguardo ottuso delle merci?
Queste scarpe sono lì nel quadro, nello “spazio indeterminato” della “devastazione”, del “dileguare dell’uso”, del “deperimento”. Esposte nel riposo[4] del loro “non impiego” mostrano tuttavia[5] che hanno calpestato la terra e “nelle quali ritroviamo la tensione del movimento, le tracce della fatica, della pressione e della pesantezza, il peso dell’intero corpo nel suo contatto con il suolo” - aggiunge Schapiro, arrendendosi (forse solo polemicamente) alla visione heideggeriana [6]. Mostrandocene il consumo queste scarpe (qualunque siano) si mostrano come vere scarpe nello sviluppo pratico della “fidatezza”; ossia nel momento in cui la contadina (o van Gogh) non si limitano a confidare in esse, ma quando ed in quanto diventano oggetti per il soggetto attivo.[7]
Nell’opera di van Gogh è dunque all’opera la devastazione stessa dell’esser-mezzo, colta nel suo proprio punto critico. Tuttavia…
E’ solo nella raffigurabilità dell’uso che l’indifferente ottusità delle scarpe-merci, si ottunde in un sorriso ospitale, per quanto enigmatico.[10] Ma tutto ciò forse non lo vedo che solo io nel quadro di van Gogh.
Ma non è proprio questa sorta di colpa originaria a far sì che delle scarpe in potenza divengano scarpe reali e vere?
In quest’ultima enunciazione vedo attivarsi un qui pro quo che solo un filosofo può permettersi, ossia di considerare il conoscere come il fare pratico, così d’arrivare a concludere che la contadina “sa tutto questo” dopo aver invece elencato quello che essa fa. D’altra parte il fare (pratico) specifico del filosofo si svolge come sapere (teorico).
La contadina, invece… così come porta semplicemente le sue scarpe, porterebbe ugualmente il quadro con la medesima semplice abitualità.
Ma cos’è infine lo storicizzarsi dell’opera se non il passaggio dell’opera in astratto all’opera storica[18]. Ora però è il momento che io faccia ricordare di aver già confessato di non aver mai imparato a pensare e scrivere di filosofia, e di esserne sinceramente felice, perché in tal caso potrei aver imparato anche a evitare di cacciarmi in situazioni per me troppo imbrogliate… Ma l’opera d’arte sembra indurre in tentazioni e pedanterie di questo tipo, e viene custodita proprio affinché possa venir usata anche per certi rimasticamenti, metafisici o semplicemente impressionistici - come questo mio sulle scarpe dipinte da van Gogh, che è una modalità tra le tante di consumare l’opera d’arte, oltre che sé stessi. |
[1] - “Nel quadro di Van Gogh non potremmo mai stabilire dove si trovino quelle scarpe. Intorno a quel paio di scarpe da contadino non c’è nulla di cui potrebbero far parte, c’è solo uno spazio indeterminato” (Origine Ni68, p. 19); “né a chi appartengano”, ha aggiunto successivamente qui accanto Heidegger in una nota autografa inserita successivamente. - Qualcuno sostiene che delle scarpe parigine, “neanche van Gogh sapeva che farsene: le ha ritratte quando erano ancora una realtà visibile, non così deteriorate da essere irriconoscibili, le ha ricreate in forma visiva, bidimensionale. Si è accontentato di quella (multipla) riproduzione visiva (lui sì che se n’è accorto delle scarpe, a differenza della contadina!), di cui si è servito, per poi separarsene a lavoro finito. L’opera ha “camminato” per proprio conto, prendendo la strada del mondo… Degli originali, delle vere scarpe che gli sono servite da modello, non si è curato. Le ha lasciate dov’erano, al loro destino. Scarpe inutili, che non gli servivano più per camminare, che non servono più per fare arte. Ne marchent pas. Non funzionano, non vanno. Meglio lasciarle perdere” [Carlo Bordoni, Le scarpe di Heidegger, ed. Solfanelli, Chieti 2005, p. 19]. E’ molto probabile invece, che quelle scarpe, usate già dal carrettiere e da chissà quanti altri, siano servite al pittore come scarpe ancora per diverso tempo, per poi finire ai piedi di un bracciante agricolo, magari giusto di Arles… e solo un damerino può intenderle abbandonate e morte giacché senza più il lustro della vetrina o di un gratificante sguardo dell'arte.
[2] - Derrida, Restituzioni, cit., pag 251. [3] - Schapiro, L’oggetto…, cit., pag 198. [4] - O “esposte nell’abbandono”? Sarebbe proprio abbandono il termine che la melanconia sceglierebbe. Io preferisco vederle sempre in cammino, ovvero consumate dall’uso, come in Schapiro… e quindi messe a riposo da Heidegger. [5] - Mancando tracce visibili di terra (cioè accettando la constatazione di Heidegger) anche io sono costretto ad inserire qui un “tuttavia” per poter acquisire la seguente descrizione di Schapiro. [6] - Schapiro, La natura morta come oggetto personale, cit. pag 199. [7] - Questo credo sia espresso da Heidegger a proposito delle scarpe che debbono essere colte nel loro uso, quando sono nei campi… [8] - Marx, Lineamenti, cit. p. 15 [9] - (l’ultima rifinitura) Ivi [10] - Che ci accoglie con le parole di Derrida: “Sembrerebbe quasi che si voglia dire la verità a proposito del feticcio. Dobbiamo anche noi avventurarci in questa impresa? Ma per far questo dovremmo ascoltare la discussione tra i due celebri professori nell’eco di molti altri testi. Marx, Nietzsche, Freud.” [Restituzioni…, cit. p. 255]. [11] - L’uso stesso del mezzo si consuma, fino a svanire del tutto: su di me non puoi più contare come hai fatto finora… [12] - Heidegger, Origine Ni68, p. 20. [13] - Heidegger, Origine Ni68, p. 19. - L'equivoco potrebbe pure generarsi dalla traduzione, ma io non posso e non voglio considerare questa eventualità: mi attengo al testo di Chiodi, che si è assunto l'onere di farmi accedere al pensiero di Heidegger. [14] - Le scarpe sarebbero un prodotto per il calzolaio, mentre per la contadina il prodotto (l’opera del suo operare) è magari la patata, non certo le scarpe; quello che all’uno si presenta come prodotto, all’altro si presenta come mezzo. Così, anche, la patata come prodotto della contadina diviene un mezzo nel piatto del calzolaio… Opera e mezzo sono categorie utili a descrivere, non a spiegare senz’altro. [15] - L’imbroglio (anche feticistico) scaturirebbe dalle collocazioni delle cose fuori dal sé, come cose oggettive e non soggettive… [16] - Così come l’uso e il consumo ha fatto delle scarpe in potenza delle scarpe reali e vere. [17] - Semplificazione da Origine Ni68, p. 40-41. [18] - Cioè, per quanto ci riguarda: il passaggio del singolo ente (prodotto particolare) in relazione all’ente come insieme (la produzione in generale), dunque: merce e produzioni di merci. |
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ARTICOLI DA VIAGGIO mezzi di trasloco e altre restituzioni |
parte quarta H.D.S. MAROQUINERIES
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