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[ 1a figura inesistente ]
Dur. 14' 13"
Ancora una volta: “consideriamo, a titolo di esempio, un mezzo assai comune: un paio di scarpe da contadino…”

Se, ora, inseguendo certe mie discutibili vaghezze si può anche smarrire il sentiero maestro, altri se ne possono incontrare. La ricchezza del bosco risiede infatti nella ragnatela dei varchi, spesso insidiosi, che si trovano lì appunto per invischiare la preda di passaggio.[1]
Così, nell’anfratto di uno di questi tortuosi passaggi, trovo scritto:
Ciascuno serve l’altro per servire se stesso; ciascuno si serve reciprocamente dell’altro come suo mezzo. Nella coscienza di entrambi gli individui c’è dunque la consapevolezza:
1) che ciascuno raggiunge il suo scopo solo in quanto serve all’altro come mezzo; 2) che ciascuno diventa mezzo per l’altro (essere per un altro) solo in quanto scopo a se stesso (essere per sé);3) che la reciprocità, per la quale ciascuno è nello stesso tempo mezzo e scopo, e cioè raggiunge il suo scopo solo in quanto diventa mezzo, e diventa mezzo solo in quanto si pone come scopo a se stesso, sicché ciascuno si pone come essere per un altro in quanto è essere per sé, e l’altro si pone come essere per lui in quanto è esser per sé…

… - Si sta parlando forse di filosofia? di psicologia? - mi interrompete per chiedermi.
Non rispondo, e continuo a leggere un po’ oltre:

 …che questa reciprocità - tra i due soggetti, dicevamo - è un fatto necessario, presupposto come condizione naturale dello scambio, ma che in quanto tale essa è indifferente a ciascuno dei due soggetti dello scambio, e per ciascuno di essi ha interesse solo in quanto soddisfa il suo interesse ad esclusione di quello dell’altro, senza rapporto con esso.[2]

Ebbene sì, si sta parlando di economia.
Il paio di scarpe di van Gogh, in quanto “mezzo”, ossia l’opera d’arte, posta da Heidegger come qualcosa di indifferente per l’artista, ci ha condotto dove trionfa incontrastato proprio il carattere assoluto dell’esser “mezzo” non solo delle “cose” ma degli uomini stessi; perché precisamente il rozzo rapporto merce contro merce, lo scambio reciproco tra equivalenti (cose o uomini) abbiamo appena sentito descrivere. Nel bosco incantato della metafisica si sente risuonare adesso il mondo (reale) delle determinazioni economiche, monetarie e mercantili.
- Forse hai trovato la merce, ma dove trovi qui van Gogh? – chiedete adesso.

Io ragiono così. Devi lasciarmi mantenere il mio pessimismo sul mercato di cose d’arte di oggi, benché non sia scoraggiato del tutto. Supponiamo che io abbia ragione nel considerare che questo strano contrattare sui prezzi vada avvicinandosi sempre più al mercato dei bulbi. Ti ripeto, supponiamo che, come accadde al mercato dei bulbi alla fine del secolo scorso, il mercato di cose d’arte, assieme ad altri campi di speculazione, debba scomparire alla fine di questo secolo proprio come è sorto, vale a dire quasi di colpo. Ora, può scomparire il mercato dei bulbi, ma la floricoltura resta. Per quanto mi riguarda, sono ben felice, nella buona e nella cattiva sorte, di restare un piccolo giardiniere che ama il suo vivaio.[3]

La bolla speculativa dei tulipani ricorre più volte nelle sue lettere. E’ il ricordo persistente di questa prima grande crisi economica che colpì l’intero continente nel 1637, a tenerlo a distanza da questi fiori - che dipingerà solo una volta, guardandoli da lontano in un campo?
La floricoltura che resta anche se il mercato dei bulbi scompare, fa il paio con l'altro paragone di van Gogh che vede il vento restare anche quando il mulino è scomparso da tempo. E' su questi prediletti paragoni per ciò che persiste  che riposa la tipicità delle cose, cercata da Vincent come anche dal robusto realismo ottocentesco?
Vincent non è affatto indifferente ai fatti economici, poiché anche questi sono parte della materia stessa di cui è formata la realtà che egli si trova sempre davanti, come nel “motivo pittorico”, ad esempio, di un paio di scarpe.

Non posso dire - come dice Heidegger di sé stesso -  che sarebbe un errore esiziale credere che la mia esposizione, con procedimento soggettivo, non abbia immaginato tutto ciò, attribuendolo poi meccanicamente all’argomento. Mi sarei forse lasciato attrarre dall’ossessione per un rapporto esistente tra l’estetica e l’economia, tra l’opera e la merce? Rapporto per altro - ripeto - da tempo riconosciuto e studiato da molti.
Si tratterebbe dunque di un luogo comune e di null’altro, se non fosse che solitamente nelle parole dei più, la critica dell’arte descrive l’attuale la sottomissione formale e sostanziale dell’arte all’economia mercantile, guardandosi bene di svolgere (anche solo in via teorica o programmatica) tutto questo nella conseguenzialità pratica che l’arte stessa mette proprio così all’ordine del giorno; cioè, la sua emancipazione da quei rapporti economici che determinano la sua attuale forma generale di merce; ossia, detto in altri termini: la radicale soppressione del Capitalismo.
Senza questa conclusione, ogni analisi dell’opera d’arte nell’epoca della sua forma di merce, rimane una sterile semeiotica[4].
D’altronde, descrivere non è capire.

Detto questo - e affinché qualcuno non pensi che io faccia proprio tutto da solo - state adesso a sentire cosa si legge nel glossario allegato all’edizione dei Sentieri interrotti da Pietro Chiodi che, affidando al lettore la valutazione del pensiero heideggeriano ci avverte di interferire come traduttore unicamente per dare la parola ad Heidegger, “pur nella complessa ambiguità della sua madrelingua tedesca”.
Dunque, qui, alla voce BEZUG, si legge:

BEZUG (rapporto-percezione): in questo termine si raccolgono secondo Heidegger due significati che è impossibile unificare in una parola italiana. Comunemente il termine significa “rapporto”, ma Heidegger sente risuonare in  Bezug il significato originario di es bezin, “percepire”, cosicché il “centro dei rapporti” è “centro di percezione”. Anche in italiano, forzando, si può dire che esistono “rapporti” (commerciali) consistenti nel “percepire” il dovuto; forzando ulteriormente si può anche far notare che, per percepire il dovuto, si emette a volte una “tratta” (Zug); il Bezug è il rapporto di percezione attraente.[5]
Un rapporto dunque nel quale un creditore ha impegnato (attratto) più debitori per ricevere (percepire) il credito dovuto-gli.
l “centro di percezione” è un “centro di riscossione” attraente - piacevole, però, solo per colui che incassa.
Le parole della metafisica ci hanno forse portato, dritti dritti, in una Banca?
La lingua spesso fa riecheggiare nell’aria i giuochi delle parole, per cui c’è poco da fidarsi. Tuttavia mi sembra proprio che, passando da queste parti del bosco, certi tipi abbiano lasciato le tracce di una medesima essenza concreta; tracce solo olfattive, e certo inconsistenti per il formalismo scientifico (della filosofia o dell’economica) ma non per l’informale naso di un… cercatore di funghi, ad esempio.

[1] - «Parigi è Parigi, amico mio, di Parigi ce n’è una sola.» [Vincent van Gogh, Parigi 1886,  lettera 459a  ad Horace Man Livens] - « A proposito dei boulevard interni abbiamo spesso menzionato i passages che vi sfociano. Recente invenzione del lusso industriale, questi passagges,  sono corridoi ricoperti di vetro e dalle pareti intarsiate di marmo, che attraversano interi caseggiati, i cui proprietari si sono uniti per queste speculazioni. Sui due lati di questi corridoi, che ricevono luce dall’alto, si succedono i più eleganti negozi, sicché un passaggio del genere è una città, anzi un mondo in miniatura nel quale chi ha voglia di fare acquisti può trovare tutto ciò di cui ha bisogno.» [Guida illustrata, Parigi 1852] - « La maggior parte dei passages parigini sorge nei quindici anni dopo il 1822. La prima  condizione del loro sorgere è l’alta congiuntura del mercato tessile. Cominciarono ad apparire i magasins de nouveauté, i primi établissements che tengono grossi depositi di merci. Essi sono i precursori dei grandi magazzini.» [Walter Benjamin, Parigi. La capitale del XX secolo,in Angelus novus, Giulio Einaudi Editore, Torino 1962, p. 140]. Insomma, la riproducibilità dell’opera d’arte, prima di presentarsi come una esigenza particolare dell’arte stessa, si afferma come una necessità generale dei rapporti di produzione dell’intera epoca limitatamente al suo sviluppo tecnico. 
[2] - Marx, Lineamenti fondamentali …,  La Nuova Italia editrice, Firenze 1971, pag. 213.
[3] - Vincent a Theo, Nuenen 28 ottobre 1885 (n. 537-429). Cenni sulla bolla finanziaria dei tulipani si trovano ancora nella lettera a Theo da Nuenen il 6 dicembre 1883 (n. 409-344) e alla madre il 21 ottobre 1889 (n. 811-612); vedi i due brani in Materiali, qui sotto
[4] - Per quanto di una qualche utilità; prima fra tutte, quella di ricordare che ci muoviamo ancora su un sentiero interrotto.
[5] - Pietro Chiodi, dal Glossario di Origine Ni68, cit., p.352. – Vedi inoltre § successivo.






§ [ 1° figura inesistente ]
Nota 3- “Ogni forma di commercio artistico che aveva a che fare con l’arte vera iniziò a fiorire entro pochi anni. Divenne però un’impresa troppo largamente speculativa – ed è così anche ora – non dico proprio così – dico semplicemente troppo; ed essendo una speculazione, perché non dovrebbe avere lo stesso andamento del commercio dei bulbi? Mi dirai che un quadro non è un tulipano. Naturalmente c’è una enorme differenza  e naturalmente io che amo i quadri, ed i tulipani per nulla, me ne rendo conto benissimo… Potrei dilungarmi all’infinito sull’argomento, ma senza insistervi ulteriormente penso che sarai d’accordo con me nel ritenere che nel mestiere del mercante d’arte ci sono molte cose che in futuro potranno ben dimostrasi bolle di sapone. [Vincent a Theo, Nuenen 6 dicembre 1883 , n. 409-344].
“I prezzi elevati di cui si sente parlare, pagati per il lavoro di pittori che sono morti e non sono stati compensati così nella vita, è una sorta di tulipanomania da cui i pittori in vita traggono più svantaggi che vantaggi. E potrà anche passare come la mania dei tulipani. Si può ragionare, però, che sebbene la tulipanomania è ormai lontana e dimenticata, i produttori di fiori sono rimasti e rimarranno. E questo riguarda anche la pittura, che rimarrà una sorta di fiore che cresce. E quanto a me ritengo di avere la fortuna di esserci dentro. Ma il resto! Questo per dimostrarvi che non bisogna farsi illusioni.” [Vincent alla madre, Anna van Gogh-Carbentus, Saint-Rémy-de-Provence 21 ottobre 1889, n. 811-612].
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parte quarta H.D.S. MAROQUINERIES