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[ autoritratto del pittore come vecchia scarpa ]
Hugo - Al basso uscivano anche i piedi. Giusto disotto, in mezzo all’erba, si vedevano due scarpe sformate dalla neve e dalle piogge. Quelle scarpe erano cadute a quel morto. Il fanciullo scalzo, le guardò…[1]
Nel 1968 Meyer Schapiro sfilava “queste” scarpe al contadino[2] di Heidegger e alla sua ideologia “agraria” per restituirle al van Gogh urbano e industriale, nomade e reietto.[3]
Che Schapiro avesse ragione[4] su chi fosse “veramente” il possessore di quelle scarpe, non credo di avere dubbi.
Van Gogh dipinge le scarpe nel suo periodo parigino[5].
François Gauzi ha lasciato scritto che van Gogh gli mostrò, nel suo atelier di Parigi, un quadro che stava terminando: il suo paio di vecchie scarpe da carrettiere acquistate in un mercato delle pulci; e in due occasioni Paul Gauguin ripete che delle grosse scarpe chiodate, tutte usurate e sporche di fango, “erano le scarpe di Vincent”, comprate ancora nuove per iniziare il suo viaggio a piedi dall’Olanda al Belgio.[6]
Schapiro avanza l’ipotesi che l’idea di dipingere scarpe isolate dal corpo  possa essere stata suggerita a van Gogh dalla conoscenza di una lettera di Flaubert - di cui era un grande ammiratore[7]; oppure da un dipinto di Millet riprodotto in un libro monografico di Sensier pubblicato nel 1881[8].
Però subito aggiunge:
“Gli zoccoli di Millet sono presentati di profilo, posati al suolo con tracce di erba e di paglia. Millet era solito offrire agli amici e agli ammiratori un disegno di un paio di zoccoli di profilo come segno della sua dedizione alla vita contadina”.[9]

Van Gogh – mi chiedo - avrebbe forse anche lui offerto agli amici il disegno di un paio di scarpe da carrettiere come segno della sua dedizione alla propria vita di viandante?
Tutto lascerebbe credere che alle scarpe avrebbe preferito i girasoli: recisi e tuttavia carichi di luce, densi di energie germinative e di movimento.
Sull’ispirazione di Vincent ritengo più suggestiva l’altra indicazione di Schapiro: una litografia di Daumier che rappresenta un pittore “triste e infelice” che mostra ai passanti un suo dipinto respinto dal Salon raffigurante un paio di scarpe.[10]
Tuttavia:

“se confrontiamo van Gogh con altri artisti, constateremo che davvero pochi altri avrebbero potuto dedicare un’intera tela solo alle proprie calzature, per quanto rivolte ad un osservatore colto. Difficilmente lo avrebbero fatto Manet, Cézanne, Renoir, e anche il suo modello, più volte citato: Millet. Fra questi pochi, a giudicare dagli esempi, nessuno avrebbe inoltre presentato le scarpe come van Gogh: per terra a guardare l’osservatore, con le parti allentate e curvate, i lacci, le sgradevoli differenze tra parte destra e sinistra, con quell’aspetto malconcio e consunto”.[11]

Profilo (di Millet) e frontalità (di van Gogh) hanno per Schapiro rispettivamente lo stesso ruolo dell’egli o dell’io nel discorso.[12]
Insomma, quelle vecchie scarpe con lacci dicono: eccomi.[13]
In ogni caso, siano (a vostro piacimento, signori) scarpe da viaggio o da carrettiere[14] ... nel “massiccio pesantore della calzatura” non è per niente “concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile
...
il cuoio non è affatto “impregnato dell’umidore e del turgore del terreno” ... sotto le suole non “trascorre la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala” ... come fantastica Heidegger[15].
Queste scarpe di van Gogh, ritratte da van Gogh come davanti a uno specchio, non appartengono affatto alla Terra; tanto meno custodiscono il Mondo contadino.
All’opposto, esse concentrano il rapido procedere lungo i grandi boulevard cittadini illuminati dai fari delle Borse, battuti dal vento delle carrozze, impregnati dai vapori dei cafè, intossicate dalle polveri nere delle officine che avanzano, oltre i bastioni, nella campagna - dove la benedizione della terra il contadino preferisce ormai celebrarla con il chimico della moderna industria di concimi e pesticidi, piuttosto che col parroco del villaggio.
Così, anche là dove van Gogh ha continuato a guardare al mondo contadino[16], credo ne abbia ravvisata la crisi
- nei filari dei treni neri,
- nelle ciminiere fumanti oltre l’orizzonte delle arature,
- nel telaio domestico dei contadini immiseriti,
- negli immensi cumuli di carbone e spazzatura,[17]
- nel salario regolato sul basso costo delle patate
- nella disperazione di donne e uomini davanti alla bisca di Stato.[18]
Un mondo che è alla fine.[19]
Dove sui campi di grano volano oramai solo i corvi neri del declino.[20]

[1] - V. Hugo, L’uomo che ride, cit.
[2] - Nell’Origine l’attribuzione delle scarpe e sempre oscillante tra il genere maschile e femminile; ora le scarpe sarebbero “da contadino”, ora “della contadina”.
[3] - Schapiro scrive a Heidegger nel ’65, riceve la risposta nel ’66, pubblica il suo articolo nel ‘68.
[4] - Schapiro, Ulteriori annotazioni, 1994, in Semiotiche, cit. p. 203: “Si può vedere nel dipinto delle scarpe di van Gogh la rappresentazione di un oggetto vissuto dall’artista come una parte importante di se stesso, un oggetto nel quale il pittore si osserva come in uno specchio - una parte che selezionata, isolata e accuratamente messa in scena, lo interpella”.
[5] - Ci riferiamo a quelle (F 255) conservate al Van Gogh Museum di Amsterdam.
[6] - Vedi qui sotto, in Materiali, le testimonianze di Gauzi e di Gauguin del 1894. In entrambe i due casi, di quelle scarpe Vincent ne avrebbe comunque avuto la proprietà, il possesso e l’uso. 
[7] - Risalente al 1846, questa lettera venne pubblicata solo nel 1887, l’anno successivo alle scarpe F 255.
[8] - Van Gogh fu molto impressionato da questo libro e ne parlò spesso nelle sue lettere. 
[9] - Schapiro, Ulteriori annotazioni su Heidegger e van Gogh (1994), in Semiotiche della pittura, cit. p. 202-203. - Vedi immagine in alto a sinistra.
[10] - Ivi. p. 202. Vedi in Materiali.
[11] - Schapiro, L’oggetto personale…, cit. p. 203. – Anche nel quadro di Gauguin Interno della casa dell’artista, in rue Carcel a Parigi del 1881,  appaiono un paio di zoccoli; appesi alla parete come un quadro, sono una bizzarra presenza nel decoroso interno borghese di un agente di Borsa parigino che si concedeva della pittura.
[12] - Schapiro, Frontalità e profilo come forme simboliche, in Words, Script and Pictures, NY 1996; ora in Per una semiotica del linguaggio visivo, Meltemi editore, Roma 2002, pag. 163. - Vedi anche Materiali.
[13] - Schapiro, L’oggetto personale…, cit. p. 203: “C’è dunque nell’opera un’espressione del sé che porta alla luce un sentimento unico, in quanto legato al soggetto deviante e deformato messo in evidenza da quel metaforico paio di scarpe. L’abitudine di van Gogh di dipingere scarpe isolate dal corpo e dal vestiario, e quindi la rappresentazione come una totalità, può essere ricondotta all’importanza che, stando alle conversazioni, Vincent dava all’idea della scarpa come simbolo del cammino dell’individuo e alla concezione della vita come pellegrinaggio, come perenne esperienza di trasformazione”.
[14] - Poiché le dichiarazioni di Gauzi e Gauguin sono riportate da Schapiro in Ulteriori annotazioni del 1994 (quindi successivamente alla conferenza di Derrida alla Columbia University, del 1977) si devono forse considerare come una risposta di Schapiro a Derrida? 
[15] - Heidegger, Origine Ni68, p. 19.
[16] - Cfr. lettere di  Vincent a Theo, in Materiali.
[17] - Cfr. lettere di Vincent a Theo, in Materiali.
[18] - Vedi fig. 1, qui di fianco.
[19] - Cfr. Friedrich Engels, prefazione della seconda edizione riveduta de La Questione delle Abitazioni, Londra, gennaio 1887, in Materiali.
[20] - E oggi, nell’anno 2007, nella prospettiva che il grano futuro verrà utilizzato per farne carburante, si chiude con una risata il ciclo biblico di Giuseppe il nutritore… Transustanziazioni cristiane: il grano in petrolio, il pane in spirito…


1. Davanti al lotto (i poveri e i soldi)  L’Aia, sett-ott. 1882

2. Entrata del banco dei pegni, L’Aia inizio 1882








3. Vendita della legna, Nuenen dicembre 1883-1884


4. Vendita per la demolizione, Nuenen maggio 1885

5. Scarico di rifiuti, L’Aia 5 giugno 1883, lett.350-289
6. Scarico di rifiuti, L’Aia 11 giugno 1883, lett.352-292

ALTRE FIGURE ESISTENTI
1. Davanti al lotto (i poveri e i soldi) (F970); L’Aia, sett-ott. 1882; gessetto nero, matita, acquerello e inchiostro su carta velina, mm.380x570; Amsterdam, V.G. Museum. - 2. Entrata del banco dei pegni (FoJH 126); L’Aia inizio 1882; matita inchiostro e pittura su carta vergata mm.240x340; Amsterdam, V.G. Museum
3. Vendita della legna (F 1113); Nuenen dicembre 1883-1884; gessetto nero e acquarello su carta vergata mm. 350x448; Amsterdam, V.G. Museum - 4. Vendita per la demolizione (F1230); Nuenen maggio 1885; acquarello su carta d’acquerello, mm.379x553; Amsterdam, V.G. Museum. - 5. Scarico di rifiuti, L’Aia 5 giugno 1883, schizzo nella lettera 350-289 - 6. Scarico di rifiuti, L’Aia 11 giugno 1883, schizzo nella lettera 352-292
MATERIALI ulteriori con riferimento alle note di questo paragrafo.
Nota 6 - “Al mercato delle pulci (Vincent) aveva comprato un paio di vecchie scarpe pesanti, massicce, da carrettiere, ma pulite e tirate a lucido. Erano dei grossi scarponi che mancavano di fantasia. Li indossò un pomeriggio che pioveva e partì per una passeggiata lungo i bastioni. Sporche di fango, le scarpe divennero interessanti….  Vincent copiò fedelmente il suo paio di carpe.” [Francois Gauzi, condiscepolo di van Gogh nell’atelier Cormon nel 1886-1887]
“Nello studio c’era un paio di grosse scarpe chiodate, tutte usurate e sporche di fango; van Gogh ne fece una straordinaria natura morta”. - “Nella mia stanza gialla una piccola natura morta: violetta, questa. Due enormi scarponi, usati, sformati. Erano le scarpe di Vincent. Quelle che egli prese, allora nuove, una mattina presto per cominciare il suo viaggio a piedi dall’Olanda al Belgio”. [testimonianza di Gauguin, 1894]
Nota 10 - “Ritroviamo questa visione delle scarpe dell’artista come oggetto intimo e privato, in una litografia di Daumier che rappresenta un pittore triste e infelice davanti all’ingresso del Salon annuale, nell’atto di mostrare ai passanti un dipinto raffigurante un paio di scarpe, evidentemente le sue. L’etichetta di protesta dice: “Lo hanno rifiutato, quegli stupidi!” [M. Schapiro, Ulteriori annotazioni (1994) a L’oggetto personale… in Semiotiche della pittura, cit. p. 202]. - Io non ho trovato questa incisione descritta da Schapiro, ma una in cui un pittore, mostrando una sua natura morta raffigurante una candela e una pipa, rivolge ai passanti esattamente l'esclamazione riportata da Schapiro (vedi immaginine in alto a destra). Forse di quest'opera esiste anche una versione con le scarpe? O si tratta di un lapsus di sostituzione (candela e pipa appaiono anche sulle sedie di Gauguin e di van Gogh...); o siamo difronte ad una (intenzionale o meno) forzatura, critica o polemica, da parte di Schapiro...?
Nella lettera del 21 marzo 1884 (n.436-362) Vincent manifesta una vibrante irritazione nei confronti del fratello, riguardante diverse questioni; tra le altre scrive: “Quel che mi dici del mio lavoro sono sciocchezze – dico che è sciocco dirmi come giudicherebbe il mio lavoro un giudice del Salon quando non ho mai detto una sola parola che potesse indicare una mia intenzione di mandarlo al Salon, penso sia cosa sciocca e priva di senno… oh, ci sono altre cose che ritengo sciocche e prive di senno e poi nel resto della lettera c’è un simpatico complimentino di questo genere – che se facessi questa o quell’altra cosa, sarei la persona adatta a farti sentire più in pace con questo o quell’altro”.
Nota 12 - “Il volto di profilo è distaccato dall’osservatore e appartiene, assieme al corpo in azione (o in uno stato intransitivo), ad uno spazio condiviso con altri profili posto sulla superficie dell’immagine. Per dirla nelle grandi linee, è come la forma grammaticale della terza persona, l’impersonale “egli” o “ella” con la forma verbale concordata e appropriata; mentre il viso rivolto all’esterno viene accreditata un’attenzione, uno sguardo latentemente e potenzialmente rivolto all’osservatore e corrisponde al ruolo dell’”io” nel discorso, con il suo complementare “tu”; sembra esistere per noi e per sé in uno spazio virtualmente contiguo al nostro ed è pertanto appropriato ad una figura simbolica o che porta un messaggio.  Che una figura di Cristo che regge un libro con la scritta Ego sum lux mundi debba essere disegnata in piena frontalità  è ovvio e naturale, dato che si rivolge allo spettatore, eppure perfino quando raffigura un individuo particolare, sia divino oppure umano, la forma della frontalità piena può ben essere propria dell’uomo in generale, astratto, al di fuori di ogni contesto e senza la soggettività implicita nello sguardo, e ciò vale specialmente nel caso della scultura isolata, a tutto tondo, e dell’immagine dipinta o a rilievo che sia ben al di sopra dello sguardo dello spettatore. In tali figure gli occhi sono privi di pupilla…. Eppure siamo inclini a vedere qualsiasi cosa ci fronteggi come se ci guardasse, particolarmente se si tratta di un’immagine isolata o al centro del campo, benché gli occhi non presentino segni di iride o pupilla.” [M. Schapiro, Frontalità e profilo come forme simboliche,  in Words, Script and Pictures, NY 1996,  trad. Per una semiotica del linguaggio visivo, Meltemi editore, Roma 2002, pag. 163]
Nota 16 - V. van Gogh, varie lettere:
- “Quanto ad una vita completamente agreste – amo la natura, ma ci sono molte cose che mi legano alla città, particolarmente le riviste e la possibilità di fare delle riproduzioni. Non vedere locomotive non mi sarebbe gravoso, ma lo sarebbe moltissimo il non vedere mai una macchina da stampa.” [Vincent a Theo, L’Aia 2 luglio 1883, n. 358-297] 
- “Negli ultimi giorni però ho pensato a qualcosa che è forse ancor meglio. Anzitutto ora voglio un po’ di vita cittadina, in ogni caso qualche cambiamento di ambiente, dopo essere stato per un anno intero o nel Drenthe o a Nuenen”. [Vincent a Theo, Nuenen 9 ottobre 1884, n. 465-381]
- “Parigi è Parigi, amico mio, di Parigi ce n’è una sola, e per quanto possa essere dura vivere qui, e per quanto possa diventare anche più difficile e più duro – l’aria di Francia schiarisce le idee e fa bene – un mondo di bene”. [Lettera di Vincent all’artista inglese Horace Man Livens, Parigi settembre-ottobre 1886 (n. 569-459a)]
Nota 17 - varie lettere di Vincent a Theo da L’Aia:
- “Nel frattempo sto facendo degli schizzi per il disegno della montagna di rifiuti” [lettera n. 353-293, 15 giugno 1883]
- “Da quando ti ho scritto ho lavorato molto duramente a quel disegno del cumulo dei rifiuti: una scena magnifica” [lettera n. 351-291, 5 giugno 1883 ]
- “Caro Theo, ricordi che qualche tempo fa ti scrissi: ‘Me ne sto seduto di fronte a due fogli intonsi e non so come farò a metterci su qualcosa? Da allora sai che su di uno ho fatto un cumulo di rifiuti, ma in questi ultimi giorni ho anche fatto progressi col secondo, che rappresenta un deposito di carbone sul terreno della stazione ferroviaria del Reno, come lo si vede dalla mia finestra” [lettera n. 292, 11 giugno 1883]
Nota 19 - “La rovina del piccolo coltivatore, fattasi inevitabile dal momento in cui il lavoro industriale domestico, destinato ai consumi personali, fu annientato dal prodotto a buon mercato di confezione e di fattura meccanica, e il suo patrimonio zootecnico, e quindi la sua produzione di concime, lo furono dalla distruzione dell'ordinamento delle marche, della marca comune e dell'obbligo del sistema unitario di coltura. Questa rovina spinge con forza irresistibile verso l'industria domestica moderna i piccoli contadini caduti preda dell'usuraio. Come in Irlanda la rendita fondiaria del proprietario terriero, così in Germania gli interessi dello strozzino ipotecario li si può pagare non coi proventi del terreno, ma solo col salario del contadino industriale…. Ma l'annientamento dell'industria domestica e della manifattura rurale, da parte delle macchine e delle aziende industriali, significa, in Germania, l'annientamento dell'esistenza di milioni di produttori rurali, l'espropriazione di quasi la metà dei piccoli coltivatori tedeschi, la trasformazione non solo dell'industria domestica in aziende industriali, ma altresì dell'economia contadina in una grande agricoltura capitalistica e della piccola proprietà fondiaria in gran latifondo: una rivoluzione industriale e agraria a favore del capitale e della grande proprietà fondiaria a spese dei contadini…” [Friedrich Engels, prefazione della seconda edizione riveduta de La Questione delle Abitazioni (Londra, gennaio 1887), ed. Samonà e Savelli, Roma 1971, p. 27,28]
VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES