[ bivacchi ]
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Zola - E poi, io qui ci mangio, almeno con gli occhi, ed è sempre meglio che rimanere digiuni… Ciò che mi esaspera, ciò che non è giusto, è che questi maledetti borghesi poi se li mangiano veramente![1]
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Tuttavia, la filosofia è stata riluttante a scendere così in basso, e si darà subito da fare per risalire in groppa e riprendere il cammino lungo la strada che porta a Francoforte.
- Che c’è da vedere in questo quadro di van Gogh? Nient’altro che un paio di grossi scarponi da contadino. L’immagine non rappresenta proprio niente – dice il filosofo.[2]
Per “facilitare” la visione sensibile di un comune paio di scarpe non si ricorre al semplice fatto di averne un paio a portata di mano - precisamente: ai piedi e proprio sotto gli occhi. E' preferibile piuttosto mettersi sotto gli occhi (e sotto i piedi) una loro rappresentazione figurativa!
Questa esitazione sta forse ad indicare che da un’opera d’arte ci si deve aspettare dell’altro oltre sé stessa? Un “null’altro” non rappresentato e tuttavia esistente?
Se però, guardando un comune paio di scarpe, reali o dipinte, non vedi per primo l’artefice[7] ma il loro possessore[8], ad agire è la fantasia di chi guarda il sé compiere l’unica azione che gli riesce concepibile di svolgere praticamente, ossia quella di guardare alle cose comuni come doni di un dettato celeste, non certo come opere di concrete capacità lavorative dell'uomo portate al mercato.
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[1] - Émile Zola, Il ventre di Parigi, prima pub-blicazione en feuilleton dal 12 gennaio al 17 marzo 1873 sul giornale parigino “L’État”.
[2] - Heidegger, Introduzione alla metafisica, 1935 (edito nel 1953). [3] - Heidegger, Origine Ni68 (1936), cit. [4] - Ivi. [5] - Neppure questa “cosa” fosse dotata di un potere meduseo che trasformerebbe in pietra chiunque si attenesse alla sua presenza reale senza la circospezione di scrutarla dallo specchietto retrovisore di Perseo. [6] - Ivi. [7] - (…il facente, creante?). - “… credo che se si vuole dare una spiegazione si deve prendere in considerazione non tanto colui che usa questi oggetti quanto l'artigiano che li produce”, dice Malinowski a proposito degli abitanti delle isole Trobiand. (Bronislaw Malinowski, Argonauti del Pacifico Occidentale (1922), ed. Newton Compton, Roma, 1978: vedi intero brano in Materiali, qui sotto). [8] - …il salvaguardante, verecondente? [9] - Marx, Opere filosofiche giovanili (1844), cit. p. 205. [10] - Parafrasi da Victor Hugo, L’uomo che ride, op. cit. p. 21. |
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§ [ bivacchi ]
Nota 6 - “Il valore non è il risultato dell'utilità e della scarsità combinate astrattamente, ma il risultato di un sentimento che si sviluppa intorno alle cose che, attraverso il soddisfacimento dei bisogni umani, sono capaci di evocare emozioni. II valore degli oggetti d'uso prodotti deve essere spiegato anche esso mediante la natura emotiva dell'uomo e non riferendosi alla sua attività logica che costruisce obbiettivi utilitaristici. Qui, tuttavia, credo che se si vuole dare una spiegazione si deve prendere in considerazione non tanto colui che usa questi oggetti quanto l'artigiano che li produce. Questi indigeni [delle isole Trobiand] sono lavoratori industriosi e accaniti, che non lavorano sotto lo stimolo della necessità o per guadagnarsi da vivere, ma sotto l'ispirazione del talento e della fantasia, che hanno un alto senso della loro attività, concepita spesso come il risultato di un'influenza magica, e da cui traggono piacere. Ciò vale specialmente per coloro che producono oggetti di grande valore e che sono sempre dei valenti artigiani, appassionati del loro lavoro. Adesso, questi artisti indigeni apprezzano altamente i materiali buoni e la perfezione tecnica e quando trovano un pezzo di materiale particolarmente buono, è per loro un invito a prodigarvi una sovrabbondanza di lavoro e a produrre così delle cose troppo belle per essere usate, ma che appunto per questo si desidera sopra ogni cosa possedere. La maniera accurata di lavorare, la perfetta padronanza della tecnica, la scelta del materiale, l'inesauribile pazienza nel dare gli ultimi tocchi sono state spesso notate da coloro che hanno visto gli indigeni all'opera. Queste osservazioni hanno attirato l'attenzione di alcuni economisti teorici, ma è necessario vedere questi fatti in relazione alla teoria del valore. Cioè, questo atteggiamento affettuoso verso il materiale e il lavoro produrrà un sentimento di attaccamento ai materiali rari e agli oggetti ben lavorati e ciò avrà come risultato che verrà loro attribuito un valore. II valore sarà annesso ai tipi rari di quei materiali che gli artigiani usano di solito:quelle specie di conchiglie che sono scarse e che si prestano in modo particolare ad essere modellate e levigate, i tipi di legno che sono anch'essi rari, come l'ebano, e piu specialmente delle varietà particolari di quella pietra con cui si fabbricano gli arnesi (n.d.a.: Nello spiegare il valore non voglio tracciarne le possibili origini ma cercare semplicemente di mostrare quali sono gli elementi reali e ascrivibili in cui può essere scomposto l'atteggiamento degli indigeni verso gli oggetti). Possiamo adesso confrontare i nostri risultati con le opinioni erronee sull'uomo economico primitivo che abbiamo esposto sommariamente all'inizio di questo paragrafo. Vediamo che il valore e la ricchezza esistono nonostante le cose siano abbondanti e che questa abbondanza è apprezzata di per se. Gli oggetti vengono prodotti in grandi quantità al di là di ogni loro possibile utilità, come semplice risultato dell'amore per l'accumulazione fine a se stessa; il cibo è lasciato imputridire e, sebbene gli indigeni abbiano tutto ciò che di necessario potrebbero desiderare, pure vogliono sempre di piu, per usarne come ricchezza. Inoltre, per gli oggetti di tipo vaygu'a (cap. 3, parag. 3), non è la scarsità connessa all'utilità che crea il valore, ma una rarità scovata dall'abilita dell'uomo all'interno dei materiali da lavorare. In altre parole, non si dà un valore a quelle cose che sono utili o anche indispensabili, ma difficili da trovare, poiché tutti i beni indispensabili alla vita possono essere raggiunti facilmente dagli isolani delle Trobriand. Viene invece attribuito un valore a quell'oggetto al quale l'artigiano,avendo trovato un materiale particolarmente bello o fuori del comune, è stato indotto a dedicare una quantità di lavoro sproporzionata. Così facendo, egli crea un oggetto che è una specie di mostro economico, troppo bello, troppo grande, troppo fragile o troppo sovraccarico di decorazioni per essere usato e proprio perciò altamente apprezzato.” [Bronisław Malinowski: Argonauti del Pacifico Occidentale (1922), ed. Newton Compton, Roma, 1978, p. 153] |
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VALIGIE |
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES
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