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[ tedeschi ]
Vincent - Chiunque abbia una solida posizione altrove, resti pure dov’è, ma gli avventurieri come me non perdono niente a rischiare di più. Per quanto mi riguarda in particolare, non sono un avventuriero per scelta ma per destino e perché non mi sento in nessun luogo tanto straniero come nella mia famiglia e nel mio paese… Parigi è Parigi, amico mio, di Parigi ce n’è una sola.[1]
Se la gloriosa campagna per l’annessione delle calzature di poveri cristi non fosse sufficiente a perdonare questa mia inattuale [2] scaramuccia oltre le linee (e tra le righe), ritengo che valeva la pena tentarla solo per snidare la citazione di Marx sull'amore, sulla donna e sull’amore per la donna “che per primo insegna veramente all’uomo a credere nel mondo oggettivo fuori di lui”.
- E’ una forzatura -  direte?
- Non credo proprio. Anzi prevedo di spingermi molto avanti su questo sentiero; e temo che in quest’impresa non riuscirò a restare meno accanito di quanto lo sia stato van Gogh per la pittura.
- Per fare di van Gogh un comunista? – chiedete?
- Per farne semplicemente un uomo che dipingeva. Dopo che la famiglia ne aveva fatto un cane, la società uno spostato, la critica un santo.
D’altronde anche il testo sull’Origine  termina con una citazione da Hölderlin:
Difficilmente ciò che abita vicino all'origine
abbandona il suo posto.
[3]

…Hölderlin!… “la cui opera aspetterebbe ancora la comprensione dei Tedeschi…” - dice Heidegger.
E perché dei Tedeschi?
Dei soli Tedeschi?
Poveri tedeschi.
Sentinelle da garitta messi a guardia della scaturigine della verità.
Fermi lì, sul posto, immobili nelle loro proprie scarpe private e nazionali, a marcare il passo e battere i talloni ad ogni passaggio dell’aletheia in servizio.
Nondimeno Hölderlin se ne uscì dalla Germania per andare invece verso il bagliore del Sole e il pericolo.
Bisognerà che io stia attento a non perdere la testa in Francia” – si disse il poeta - e non si riferiva certo alla ghigliottina.
Tuttavia, piuttosto di convenire con Hölderlin che gli uomini “imparano e posseggono realmente soltanto la forma che è loro estranea; ciò che è loro vicino non è loro vicino”[4]... si è preferito chiudere la partita con la difficoltà, la tristezza o la pena, di abbandonare il proprio posto vicino all’origine…
E’ possibile immaginare qualcosa di più distante da una tale consegna di teutonica fermezza, della vocazione delle scarpe di van Gogh ad allontanarsi da tutto ciò che gli abitava vicino - padre, madre, famiglia, Dio, Patria, orecchio… - per avvicinarsi a ciò che gli abitava lontano: città, mezzogiorno, cipressi, sole, colore, fratello, Gauguin…?

Ma io al Caucaso voglio andare!
... Eppure non penso di restare
.[5]

Per tutto ciò, nel mio disegno en-plein-hasard del bosco di Heidegger la citazione di Marx è messa come un convinto fregaccio che intanto pone la donna, l'amore carnale, immediatamente materiale e sensuale, all'origine di ogni esperienza esterna al sé; o come un calice (amaro? [6]) dove le scarpe di van Gogh vogliono andare per consegnare l’orecchio al bordello arlesiano.
Fin dall’inizio a Vincent era chiaro il sentiero e la destinazione:

Quel dannato muro di chiesa è troppo freddo per me; ho bisogno di una donna; non posso, non devo, non voglio vivere senza amore. Sono un uomo e come tale ho le mie passioni; devo andare da una donna se non voglio diventare di ghiaccio o di pietra.[7]
 E’ anche così che si diventa pittore?
Allora, giusto: la scarpa come valigia e come vagina.
[1] - Lettera di Vincent all’artista inglese Horace Man Livens, Parigi settembre-ottobre 1886 (n. 569-459a).
[2] - Non poi troppo inattuale. Dopo la vera e propria campagna del ‘36-‘78, Meyer Schapiro ha ripreso l’offensiva ancora per due volte: nel 1981 in un postscriptum  e nel 1994, con Ulteriori annotazioni su Heidegger e van Gogh.
[3] - Hölderlin, cit.
[4] - Maurice Blanchot, Lo spazio letterario, ed. Einaudi, Torino 1975, p. 238. Leggo qui, inoltre, che Hölderlin ha detto che “L’immediato è, in un senso stretto, impossibile ai mortali come agli immortali” (cit. p. 240). E’ quasi certo che io non sia in grado di intendere queste come altre parole del poeta (e del filosofo che lo ama), ma, nonostante il linguaggio poetico e le suggestioni del sacro, mi piace accostarle al chiarimento materialistico per cui “se il modo di manifestarsi e l’essenza delle cose coincidessero immediatamente, ogni scienza sarebbe superflua” (Marx, Il Capitale, Libro terzo, Sez. settima, Capitolo 48°, cit., p. 228).
[5] - Hölderlin, Die Wanderung (la Migrazione, 1801), dagli Inni.
[6] - E’ per questo che le teologie e i loro santi (all’insegna di: “Padre, allontana da noi questo calice amaro”) antepongono il celibato e le astinenze dalla carne?
[7] - Vincent a Theo, Etten 23 dicembre 1881 (n. 193-164). Per qualcuno il modo intenso di vivere la pittura da parte di Vincent, potrebbe essere messo troppo facilmente in continuità (e supplenza) col suo precedente modo di vivere il messaggio cristiano.  Gesù Cristo aveva posto al centro del suo insegnamento il fatto che  “senza amore non c’è vita umana possibile” (e potrebbe anche essere una banalità se per amore si intendesse l’atto sessuale). Ma Vincent credo abbia detto ben altro dicendo “io amo e come potrei provare amore se non vivessi e se gli altri non vivessero?”. Qui l’amore non è un Ente assoluto che può anche non esser-ci (dato - e per grazia divina), ma origina (si spiega e dispiega) immediatamente dalla vita concreta (provata) degli altri, che include e conclude le determinazioni del sé e dell’ego. E’ del tutto conseguente a questo sentire, “sociale” e non privatistico o spirituale della vita, della pittura e dell’arte, se poi Vincent non diventa pittore per “farsi un Nome” (da Maestro o da Padre) tra, su o contro gli “altri” - e quando farà capolino diffiderà anche del successo (personale).






SCARPE [dall’estetica alla podistica]
parte prima H.D.S. MAROQUINERIES