|
|
||||||||
[ l’ultimo impressionista ]
|
|||||||||
Vincent - Ti voglio prevenire che tutti troveranno che lavoro troppo velocemente. Non ci credere. Se non è l’emozione, la sincerità del senso della natura che ci conducono, e se queste emozioni sono talvolta così forti che si lavora senza accorgersi del lavoro, e che talvolta le pennellate vengono giù una dopo l’altra e i rapporti di colore come le parole in un discorso o in una lettera, bisogna però ricordarsi che non sempre è stato così e che in futuro ci saranno pure dei giorni cupi senza ispirazione. Bisogna perciò battere il ferro finché è caldo e mettere da parte le barre forgiate. [1]
|
|||||||||
Nel suo studio sull’origine dell’opera d’arte, risalente agli anni 1935-36, il filosofo tedesco Martin Heidegger aveva ripetutamente citato un’opera di van Gogh:
"Il professor Heidegger, in risposta alla mia domanda, ha gentilmente precisato che il dipinto al quale si riferiva era uno di quelli che aveva potuto ammirare ad Amsterdam all’esposizione del marzo 1930” – ci informa Schapiro; al quale, dopo una rapida verifica, apparve chiaro che il quadro in questione doveva essere quello catalogato da De La Faille con il numero 255 [4], dipinto a Parigi nella seconda metà del 1886, ossia in un periodo e in un contesto del tutto estraneo al mondo contadino. Così il professore americano si persuase che Heidegger aveva proiettato le proprie teorie filosofiche su quelle “vecchie scarpe con lacci” al fine di trasferirle nel mondo contadino piuttosto che lasciarle ai piedi di van Gogh, al quale era necessario restituirle. L’attribuzione di queste scarpe divenne una querelle che coinvolse anche Jacques Derrida - per il quale neppure Schapiro poteva ritenersi del tutto ideologicamente disinteressato in questa faccenda di scarpe; e così anche il francese butta giù le sue proprie carte per sparigliare il gioco alla coppia eccellente. |
|||||||||
Perché alla fine non si tratterebbe soltanto di capire (e di scoprire) di chi sono e di che cosa sono (fatte) quelle scarpe (reali e dipinte), ma anche di comprendere se siamo di fronte a delle paia di scarpe e professori, o a scarpe e professori spaiati; di capire, o cercare di capire, da cosa e in cosa tutti costoro sarebbero appaiati o spaiati... |
[1] - Lettera di Vincent van Gogh al fratello Theo, n. 631-504 (Arles, 25 giugno 1888). NB. Nella numerazione delle lettere la prima cifra corrisponde alla classificazione dell’Huygens Instituut del 2009, la seconda a quella dell’edizione Verzamelde brieven 1952-1954 (e Complete letters 1958).
[2] - Martin Heidegger, L'Origine dell'opera d'arte, in Sentieri Interrotti (Holzwege), trad. Pietro Chiodi, Nuova Italia, Firenze 1968 (da adesso Origine Ni68). Una più recente edizione è quella Bompiani (I ed. 2002, II ed. 2006), cura e traduzione di Vincenzo Cicero (da adesso Origine Bo06). Ma la mia prima lettura è stata quella dell’edizione Nuova Italia del 1968. [3] - Vedi tavola con 7 quadri di scarpe. [4] - Un paio di scarpe, Parigi, seconda metà del 1886, olio su tela cm. 37.5x45.0; Van Gogh Museum, Amsterdam (vedi immagine in alto). L'opera è stata classificata da J.B. de la Faille con il numero 255 (L’oeuvre de Vincent van Gogh, 1928, 4 vol., in 4º). [5] - Derrida, Restituzioni, in La verità in pittura, cit. p. 249-250. [6] - Vincent a Theo, L’Aia 17 settembre 1882 (n. 264-230). |
||||||||
|
|
|
|||||||
|
|
||||||||
|
|
|
|||||||
SCARPE [dall’estetica alla podistica] |
parte prima H.D.S. MAROQUINERIES
|
||