LETTERE DAL CARCERE |
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Cara madre.
Il tempo sta passando inutilmente per tutti noi che siamo rimasti sospesi a questa montatura che neppure è riuscita a trasformarsi in una vicenda rassicurante la sicurezza pubblica o l’efficacia dei servizi di polizia. Mi dispiace che tu, papà e i fratelli, siete stati presi al laccio dell’indifferenza giudiziaria, che non ha nessuna voglia di farla finita. Così sembra che la nostra “attività intramuraria” possa venir compromessa dai contenuti di alcune riunioni promosse ultimamente qui dentro dal gruppo di cui faccio parte – del quale ti ho già parlato. Questo è quanto il collegio dei nostri avvocati ci ha comunicato, manifestandoci il timore che ciò potrebbe intaccare la linea di difesa. A nulla è valso mostrare la nostra tranquillità per l’inconsistenza di questo fantasioso addebito, e abbiamo insistito sul fatto che gli “incontri relazionali” si erano svolti sulla base di quanto era previsto dalla circolare ministeriale e autorizzato dalla Direzione della casa circondariale, mentre per il contenuto c’era la libertà costituzionale all’espressione delle opinioni, e proprio nessun incitamento. Alla fine delle discussioni, per tranquillizzare tutti, l’avvocato di Antonio ha proposto di anticipare l’accusa rendendo pubbliche le tracce scritte delle 2 relazioni. Pertanto le allego a parte, pregandoti di consegnarle all’avvocato Angelo d’Anzillo, dello studio di Roma, che ti contatterà nei prossimi giorni. Perdonami se sto approfittando della tua pazienza costringendoti a rimanere in città in queste giornate torride, comunque sappi che sono d’accordo con Giorgio che, appena consegnato l’allegato, tornerà a Roma per riportarti al Circeo dai nipoti. Scusami se ora vado a dormire. Qui dentro sto come in un forno bestiale, e solo a notte fonda riesco ad avere il fiato per pensare. Un forte abbraccio. Allegati: in plico a parte, le relazioni 1 e 2 sulla Morfologia della guerra |
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Carcere di Soletude, giovedì 14 luglio 2024
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Un giorno Tullio Catalano arrivò con un frammento di pittura a olio su carta e un ritaglio di giornale (più che altro uno strappo di giornale) con un castello che usciva dal collo di una calda camicia a quadri, pesante e scozzese. “Volevo farne un collage… forse così…”, e intanto mi faceva vedere. Poi tirò via: “Vabbè – disse – pensaci tu.”
Io avevo fatto un disegnino per l’ultimo numero a stampa di Aut.Trib.17139; come di una lumaca (gasteropode) con sulla groppa forse una roccia (di Sisifo?) che striscia dietro il piccolo bassorilievo di un castello (di Kafka?). Ho ritrovato adesso, nel dicembre 2010, tutte queste cose in una fodera di plastica trasparente a cui si era aggiunta la buccia cerosa di un caciocavallo silano e un’etichetta di carta con stampato un numero a più cifre: 6312. Forse mi era venuto naturale collocare di primo acchitto il frammento di pittura giusto all’altezza dello stomaco – insomma: una faccenda di pittura gastrica. Ecco. Tullio parlava spesso di somatizzazioni della pittura. Una somatizzazione che però non si riferiva soltanto al proprio corpo. Riguardava il corpo degli altri. Socializzazione delle somatizzazioni e precisioni oculistiche dello sguardo. Oramai che l’incarico non può più essere revocato da chi me lo aveva inflitto, questi due frammenti continuano a muoversi, come in cerca di una loro ultima rifinitura, e così adesso – precisamente nel luglio del 2024 – quella sua camicia di tartan l’ha trovata di nuovo anche qui, proprio così come già l’aveva trovata nell’almanacco n°4 del 2010 alla pagina RITORNI. |
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