IL LAVORO DI EROSTRATO |
Nicolas Martino . 2016
|
|||
Una intervista a Carmelo Romeo e Luciano Trina
1 . Se nel presentarvi dicessi che siete artisti sareste d'accordo? Ovvero vi riconoscete nella definizione di artista, e che cos'è per voi un artista? R – Ci metti in difficoltà, tenuto conto che una delle prime cose che abbiamo realizzato è stato un timbro con il quale annullavamo i nostri dati anagrafici trascritti in certificati e carte di identità, e naturalmente tra questi dati da disconoscere era incluso pure quello della “professione”. T – Se però ti viene facile puoi definirci anche artisti. R – Questo concetto lo hanno espresso meglio i giovani americani di Occupy Wall Street, che non sono comunisti ma solo pragmatici e non ideologizzati come i vecchi europei. 2 . Siete marxisti? Avete militato anche in qualche gruppo politico organizzato? R - Preferiamo riferirci a noi stessi come comunisti, anche se è diventata una parola imbarazzante. T – Comunque, se vuoi sapere se noi due siamo mai stati iscritti, simpatizzanti o espressioni di qualche partito, parlamentare o extraparlamentare, la risposta è decisamente negativa. R - Se sul versante politico non esistevano i presupposti per un unico orientamento, sul versante artistico si era tuttavia polarizzata la possibilità di una “intesa” operativa tra elementi di una certa area politica. 3 . Nel 1970 fondate il «non gruppo Erostrato» che rimane attivo fino al 1975. Perché il riferimento al noto incendiario greco, e qual era l'impostazione del lavoro che portavate avanti? T – Ricordo che all’epoca si parlava di “committente di riferimento”; la cosa ci divertiva perché dimostrava che gli artisti non riuscivano proprio a fare a meno di un Principe personale, e per lavorare se ne dovevano trovare per forza uno, a costo di andarselo a prendere nel loro cervello. R – La tradizionale sentenza che ha trattato Erostrato come un criminale che voleva immortalare il proprio nome nella storia, quadra troppo con il radicato senso di venerazione verso l’arte e l’individualismo di epoche più recenti per non diffidarne. 4 . Qual era, soprattutto a Roma, la scena dell'arte negli anni 70, e come vi collocavate singolarmente e come gruppo rispetto a essa? T - C’era chi orbitava attorno alla Tartaruga, all’Attico di Sargentini o alla Salita di Liverani. R - Non si può dire, e non l’abbiamo mai detto, che eravamo un “gruppo” per come lo si intende comunemente. T – Per vivere facevamo dell’altro e quindi non stavamo lì ad escogitare strategie per procurarci delle referenze. 5 . Oltre che con l'«Ufficio per l'Immaginazione Preventiva» avete avuto rapporti, per esempio, con gli Incontri Internazionali d'arte di Palazzo Taverna organizzati da Graziella Lonardi Buontempo e Achille Bonito Oliva? T – Abbiamo avuto ben altro che dei semplici rapporti con gli Uffici, e fin dalla loro costituzione, se non addirittura prima che si formassero sulla base di una ispirazione marxista, in noi preesistente. R – Con gli Uffici si presentava quella vocazione organizzativa che alcuni dei suoi elementi, soprattutto Tullio Catalano, traevano dal Surrealismo, e che da loro veniva resa con la formulazione concisa di alcuni proponimenti estetici dalle valenze operative; concetti come “immaginazione preventiva”, e denominazioni come “Società per Azioni” o Imprinting, non potevano mancare di suscitare il nostro interesse. T - Rispetto agli Incontri Internazionali, facemmo pure una mostra come Area Operativa di Base nel corso di una rassegna del Centro di Informazione Alternativa di Achille Bonito Oliva. Tramite alcuni elementi degli Uffici non eravamo estranei a quell’ambiente. 6 . Nel 1973 si tiene «Contemporanea» a cura di Achille Bonito Oliva nel parcheggio di Villa Borghese, una mostra che voleva documentare anche la scena alternative e militante dell'arte. R – Achille Bonito Oliva non si curò né di noi né degli Uffici. T – In quell’articolo di Berenice, più lungo dei suoi soliti, mi pare ci fosse anche qualche considerazione interessante; ma non abbiamo più la pagina, che forse dovremmo proprio recuperare dall’archivio dell’Emeroteca di palazzo Mattei. 7 . Negli anni '70 avete collaborato anche con Fabio Mauri, c'era una affinità nelle vostre rispettive ricerche? T – Per diverso tempo avevamo prodotto manifesti in sostegno delle lotte sociali e in particolare del movimento per l’occupazione delle case, e Fabio Mauri, su indicazione di Gino Marotta, ci chiese se potevamo fare anche per lui delle serigrafie. T – Una volta ci disse che una giovane critica d’arte, incontrata durante l’inaugurazione della mostra Ebrea alla Salita di Liverani, gli aveva chiesto chi fossero gli artisti che lui teneva in maggior considerazione; e quando Fabio indicò noi e i componenti degli Uffici, il commento che seguì non fu proprio dei migliori. Probabilmente lei si aspettava di sentire da Mauri dei nomi più venerabili. R – Credo proprio che le affinità con Mauri, se ci sono, vadano cercate in una comune concezione dell’arte come prassi sociale e conseguente “preder partito”. 8 . Nel 1972 organizzate alla galleria Mana di Nancy Marotta «Germinal», una mostra accompagnata da una lettera «Sulla mercificazione dell'opera d'arte», indirizzata a un critico d'arte dal nome, così dicevate, ormai dimenticato? Era indirizzata a un critico in particolare o alla critica in generale? R – Quella lettera è stata proprio una riflessione in risposta ad una reale conversazione avuta con un critico, di cui veramente ho dimenticato il nome, che ci imputava l’incongruenza di essere “comunisti” che però producevano delle “merci”. Riletta oggi in quella lettera si potrebbe precisare qualche passaggio, ma sostanzialmente regge ancora. T- In genere il rapporto con i critici è stato sporadico e accidentale. R – Tuttavia, sono ancora convinto che Menna in uno scritto del 1980 ci riservò una piccola stoccata, che purtroppo rimase senza replica. 9 . Il rapporto tra arte e mercato è un rapporto conflittuale? R – Nessun conflitto; specialmente oggi che forse solo ricorrendo all’adozione di vistosi anacronismi tecnici e istituzionali si può ingannare il pubblico d’essere davanti ad un’opera d’arte piuttosto che ad una sua caricatura che darà del filo da torcere agli archeologi del futuro. T - Ma cosa vuoi che importa se uno fa o non fa, aggiunge o sottrae un prodotto, sia pure pomposamente definito artistico, quando ci sono depositi chilometrici di merci invendute e flotte di cargo giganteschi che non trovano più un molo dove scaricare container ricolmi di prodotti high tech che nessuno compra! R - Giravolte politiche o economiche e trovate estetiche che credono di poter incidere con la volontà sul processo storico per modificare lo stato attuale, sono tutte manifestazioni reattive al marasma sociale in cui ci troviamo, ne vediamo gli aspetti e ce ne terrorizziamo. T – Decisamente, se l’artista è troppo vecchio per l’arte, anche la sua opera lo è. Detto questo, dopo che si sono capite certe cose uno è libero di fare o di non fare, materializzare o smaterializzare tutto ciò che gli pare e piace, visto che questo è proprio ciò che il capitale ha sempre fatto con tutte le cose degli uomini, che oramai gli sono proprio totalmente indifferenti. R – Non ci piace affatto parlare in certi termini, e specialmente in questa occasione. Ma nel quadro d’insieme non poteva mancare una tensione che a volte raggiungiamo involontariamente anche nelle riunioni con altri gruppi di lavoro con cui ci colleghiamo settimanalmente tramite skype. 10 . Sempre nel 1973 nasce, dall'ex «non-gruppo Erostrato» la «Frazione Clandestina». Se non sbaglio si trattava di un gruppo interno all'«Ufficio per l'Immaginazione Preventiva» (fondato da Maurizio Benveduti, Tullio Catalano, Giancarlo Croce e Franco Falasca). R – La Frazione Clandestina si forma del tutto unilateralmente come un preventivo Ufficio (clandestino) per l’immaginazione (clandestina) operando autonomamente dagli altri Uffici, con i quali tuttavia collaborava. T – Praticamente la Frazione Clandestina si avvia diffondendo per posta tutta una serie di Informative politiche, proseguendo quell’attività di mail-art avviata dagli Uffici con l’iniziativa di S.p.A... R – Comunque per noi due la Frazione è soprattutto una linea ostinata che ci collega idealmente al nostro Erostrato del 1970, nella quale far convergere ogni iniziativa, comune o individuale, svolta prima di costituirci come Forniture Critiche nel 2004. T - Nel nostro sito credo ci sia tutto quanto è necessario per ricavare un quadro chiaro delle vicende. 11 . È all'interno di questa collaborazione che partecipate a «N.d.R.», un'iniziativa voluta da Maurizio Benveduti e Tullio Catalano: una serie di opere di artisti diversi che si succedono su un cartellone pubblicitario a Porta Portese, un progetto a lungo termine, iniziato nel 1973 e conclusosi nel 1979, al quale hanno partecipato tra gli altri Shusaku Arakawa, Gabor Attalai, George Brecht, Giuseppe Chiari, Claudio Cintoli, Francesco Clemente, Fernando De Filippi, Robert Filliou, Gerz, Peter Hutchinson, Vettor Pisani, Terry Smith e Jlia Soskic. T – Ci rattrista che a questa domanda non possano più rispondere né Tullio né Maurizio; e noi non ce la sentiamo di aggiungere parole a quello che loro hanno già detto al proposito e riportato nel nostro sito. R – Detto così semplicemente sembra riduttivo e invece è efficace; e forse è anche una frecciata alla mia petulanza, che però non cede. T – In effetti i lavori affissi dai vari autori sul cartellone di N.d.R. erano tutti degli originali “a perdere”; e questo solo fatto, al netto di ogni altra considerazione, sistemava le nostre due affissioni sotto la costellazione di Erostrato e in linea con la Frazione. R – Spero solo che a nessuno venga in mente di sistemare l’N.d.R. sotto l’etichetta della street-art, perchè non lo era affatto. Stavamo in Italia e a Roma negli anni ’70.Ricordo che molto dopo, nei primissimi anni ’80, vedendo i lavori di Jenny Holzer e simili, Tullio commentò che quella roba lì noi l’avevamo già fatta: se fossimo stati a New York avremmo risolto l’N.d.R in quegli stessi modi, luminosi e gloriosi. Ecco, era questo tipo di considerazioni che rimetteva le cose sul nostro binario clandestino. – > |
|
||||||||
Il lavoro di Erostrato
|
|||||||||
12 . Qual è secondo voi il rapporto tra arte e politica e com'è cambiato nel tempo anche nella vostra stessa esperienza artistica?
R – All’epoca uno parlava di politica ma in realtà si riferiva ai partiti, quindi al rapporto dell’arte con le segreterie dei partiti che potevano spalleggiare qualche iniziativa “culturale”. T - Alla fine degli anni 60 aveva ancora una qualche influenza la teoria lukacciana del rispecchiamento e della partiticità, o partitificazione dell’arte, di staliniana memoria, che si era insediata così saldamente nell’abituale pensare che neppure il ’68 riuscì a liquidarla, anche se forse ha creduto di poterlo fare sostituendo l’enfasi retorica con la disinvoltura dell’impertinenza e le arguzie dell’ironia. T - Nel ’70, durante la mostra Amore mio, ci è capitato di cogliere un interrogativo di Gianni Colombo: possibile, si chiedeva, che l’arte contemporanea non riesce ad andare avanti senza fare delle battutine? R - Le cose sembravano iniziare a cambiare un poco solo quando Internet ci mise lo zampino. Ma… tanto va la gatta… che uno a ben guardare ci ritrova ancora lo zampino del consueto. 13 . Nel 1978 organizzate «Avvisi alle popolazioni», un'azione che consiste nell’affissione di una serie di manifesti in occasione del convegno su «Arte e Politica» di Parma. I manifesti riportavano una serie di dichiarazione sull'immaginazione e sull'arte. Qual era il senso di quell'operazione? R – Ecco, quegli “Avvisi alle popolazioni” cercavano di dar forma appunto a ciò che si è appena detto. E mettevano le popolazioni sull’avviso nei confronti dell’arte la quale, ad esempio, “è determinata” (ideologicamente), “è improbabile” (distribuzione diseguale) ecc., ma che in fondo “non è negata” (scuce un baffo) anche se “è clandestina” (sovversiva). T - Le formulazioni di tipo estetico inserite sotto la dicitura “avviso alle popolazioni” le fanno ricadere nel campo sociale e sottoporle così alla sua critica. E sto pensando che ognuna di quelle formule poteva anche essere percepita come l’avvio o l’incipit di un discorso non svolto. R – Vorrà dire che non ci resta che svolgerli, ma non è detto che non l’abbiamo già fatto. 14 . La vostra ricerca artistica e politica è stata influenzata in qualche modo dall''esperienza dell'Internazionale situazionista? R – Non troppo specificatamente. L’esperienza dei situazionisti ce la siamo trovata per strada. Quando i loro motti si respiravano nell’aria è stato preferibile lasciarci influenzare da chi almeno si richiamava all’internazio-nalismo comunista piuttosto che all’interclassismo resistenziale. T – Sicuramente i situazionisti fanno tuttora parte dei nostri riferimenti e lo abbiamo anche mostrato più volte limitandoci a citarne i documenti senza occuparcene in maniera approfondita, come invece meriterebbero. 15 . Le ricostruzioni mainstream dell'arte italiana tendono a racchiudere il decennio che va dal 1969 al 1979 tra le due sigle dell'Arte Povera e della Transavanguardia, come dire dalla sperimentazione, giocosa più che politica, alla fine delle ideologie. R - Nel periodo attorno alla prima guerra mondiale l’arte dell’epoca borghese ha già consumato tutte le sue risorse, e lo ha sancito chiaramente con pochissime opere d’arte che ne approvavano la fine; e potevano pure essere solo dei lapsus, comunque rivelatori della condizione reale e del traguardo a cui era giunto il suo millenario cammino. Dopo di che si è fatto di tutto per revocare questo semplice dato di fatto.Così, favoriti dalla mancata sincronia con l’esaurirsi di tutte le forze produttive ancora disponibili allo sviluppo della società capitalistica, inizia un ravvoltolarsi dell’arte con paradigmi estetici praticamente e teoricamente dissolti. T – Si possono fare tutte le periodizzazioni e le lottizzazioni che si vogliono per scendere di scala temporale o geografica e andare a cercare di qua o di là gli aspetti particolari con cui si è manifestata l’arte in un determinato periodo, in Italia o in Austria, in Russia, in America o in Cina, negli anni 70 o negli anni 80 o 90, ma è un po’ come andare per mercatini di Natale: sempre il solito Babbo a far boccacce. 16 . Sempre nel 1978 fondate la rivista «Aut.Trib.17139 - Rivista di estetica operativa», che termina la sua attività nel 1983, dopo aver raccolto pagine di Giuseppe Chiari, di Art & Language, Fabio Mauri, Julia Kristeva, Cesare Milanese, Alberto Boatto, Fernando de Filippi, Ben Vautier, Luca Patella, Achille Bonito Oliva, Maurizio Nannucci, Aldo Braibanti, Cloti Ricciardi, Amerigo Marras e diversi altri, tra cui Bordiga e Gadda. Ci potete raccontare di cosa si trattava esattamente, che temi voleva affrontare la rivista, a quale rete di autori e idee faceva riferimento? T - E’ stata una iniziativa voluta da noi due come Frazione Clandestina per verificare se esistevano le condizioni reali di svolgere una riflessione critica comune, più pertinente e incalzante di quanto si era fatto fino allora. Il nome della rivista esprimeva un sarcasmo nei confronti delle autorità di polizia, oltre a nascondere l’acrostico di AUTonomia TRIBale. R - Era una rivista di grande formato composta da tutte prime pagine, ognuna messa a disposizione di artisti o critici. Sostanzialmente una specie di trappola con la quale accalappiare l’individualismo tipico dell’intel-lettuale corrente. E quasi tutti rimanevano impigliati nella trappola. 17 . La rivista esce dal 1978 fino al 1983, un momento particolarmente significativo, sono gli anni della grande trasformazione, della sussunzione della vita sotto il capitale, se vogliamo dire così, gli anni in cui la spinta delle neoavanguardie si esaurisce definitivamente e si comincia a parlare di postmoderno. Voi come avete vissuto quella trasformazione? E cosa avete fatto negli anni '80 e '90 quando il grande freddo congelava le passioni collettive e la realtà sembrava trasformarsi in uno spettacolo a colori? R – Una ricostruzione mainstream. Lasciami dire che si era già consumato da tempo un tradimento nei confronti dell’arte da parte dell’intero mondo dell’arte moderna quando ha voluto riportare nell’alveo delle consuete opere d’arte l’orinatoio che Duchamp aveva gettato oltre i tradizionali confini dell’arte, e che l’epoca così detta postmoderna ha continuato a tenerlo in questi limiti come in un campo profughi. Tuttavia, se quell’orinatorio o il quadrato bianco di Malevich segnavano un primo punto di non ritorno nello sviluppo dell’arte dell’epoca moderna, non rappresentavano ancora il consumo totale delle sue riserve. Così l’arte ha potuto iniziare a replicare sé stessa e distrarre il pubblico (l’hai detto tu) con uno spettacolo colorato, ipnotico e autoipnotico. 18 . Nel 2004 la «Frazione clandestina» riprende le attività con il nome di «Forniture Critiche» e nel 2006 nasce «arteideologia.it – sito Autonomo di Forniture Critiche», un archivio online per immagini e testi di tutta la vostra attività dagli anni '70 a oggi. Perché avete deciso di rendere pubblico il vostro archivio? Cosa pensate della politica degli archivi tanto in voga da alcuni anni nel sistema dell'arte? T – La denominazione “arteideologia” è un avviso e un giudizio che mi sembra corrispondere perfettamente a quanto detto finora dell’arte e dell’ideologia. R – Prima si parlava di postmoderno, oggi si parla di post o supercapitalismo, ma sembra proprio non si riescono a vedere le forme che mutano già verso nuovi paradigmi. T - Conosciamo perfettamente la difficoltà di muoversi nel nostro sito; alcuni se ne sono pure rammaricati definendolo “labirintico”, ma abbiamo grande fiducia nella capacità di chi intanto è riuscito a scovarlo nella nebulosa della rete. R - Certamente senza memoria non c’è futuro; e così il sito conserva i ricordi di sé e del suo farsi, ma credo sia riduttivo definirlo con il termine di archivio, il quale evoca solo la memoria e la conoscenza senza riunirla al corpo. T – Gli anni 80 e 90 sono per noi punteggiati di vari interventi condotti sia come Uffici Unificati che singolarmente. R – Come forse abbiamo già detto, si trattava solo di aspettare che la tecnologia sviluppasse le forme adatte a risolvere un problema, e noi ci siamo ostinati ad aspettare. T – Ti racconto che alcuni amici avevano fatto diversi screenshot dalle pagine web del sito, li avevano fatti stampare su cartoncino fotografico e - e qui casca l’asino - volevano incorniciarle e appenderle con le nostre firme: metteteci le vostre, gli abbiamo spiegato. R - Magari il nostro sito è solo una sorta di dispositivo logistico ubiquitario, o anche qualcos’altro di imprecisabile. Fatto sta che non abbiamo più altri originali che non derivino dal sito, solo residui di lavorazione, nessuna cosa da difendere, solo da distruggere. 19 . Nel 2011, come «Forniture Critiche» e «Ufficio per la Balcanizzazione dell'arte», partecipate alla 54 Biennale di Venezia all'interno del Padiglione Spagnolo curato da Dora Garcia, con la Valigetta Rossa (inserimento video). Cosa conteneva quella valigetta e cosa pensate di quella esperienza? R – Quella partecipazione la dobbiamo all’ottimo Cesare Pietroiusti. T - Dora Garcia voleva proprio quella valigetta di ferro, recuperata fortunosamente appena qualche mese prima, per includerla nel suo lavoro alla Biennale del 2011, e così invitò noi due a fare un intervento. R - L’immaginazione preventiva non avrebbe potuto prevedere quello che solo il caso poteva realizzare: l’esperienza della combinazione felice di un incontro improbabile, che dobbiamo alla sensibilità di Dora Garcia, alla gentilezza delle sue assistenti, e alla onestà intellettuale di Cesare Pietroiusti. T – Tornando a noi, per L’inadeguato svolgemmo la nostra relazione, ma più di ogni altra cosa ci importava riprendere tutto con la telecamera e preparare il filmato per il sito. 20 . Che cos'è, oggi, un'immagine? R – E’ una domanda di tipo metafisico che non può ricevere altro che una risposta metafisica; diverso sarebbe chiedere come è un’immagine. Ma posta così, possiamo anche dire che un’immagine è ciò che deve apparire sullo schermo. |
|||||||||
|
|||||||||
|
|
||||||||