IL SURREALISMO E IL SUO IMBARAZZO
Denis Hollier
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 4 dicembre 2010
IL POVERO SIGNOR PEEL
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In questo contesto (la grande Esposizione Coloniale di Parigi 1931) i surrealisti intervennero in due occasioni.
Una prima volta con la distribuzione di un durissimo volantino: Non visitate l’Esposizione coloniale, nel quale si denunciava il prefetto di Parigi per l’arresto e  la custodia cautelare di uno studente comunista indo-cinese.1
Poi, con un secondo volantino (Primo bilancio dell’Esposizione coloniale), che venne distribuito qualche settimana più tardi, dopo l’incendio che distrusse il padiglione delle Indie olandesi, con tutti gli oggetti primitivi in mostra al suo interno,2 i surrealisti si sentirono obbligati a dover spiegare il perché non applaudirono alla catastrofe.
“Durante la notte fra il 27 e 28 giugno, il padiglione delle Indie olandesi veniva completamente distrutto in un incendio. Un qualsiasi visitatore a conoscenza del vero significato della manifestazione imperialista di Vincennes sarebbe stato tentato di dire: “Uno in meno!”

Qualcuno potrebbe sorprendersi che, non avendo nessun interesse nella salvaguardia di oggetti artistici, noi surrealisti non abbiamo fatto nostra questa prima reazione".3
La prima giustificazione per questa posizione ricalca una logica che nel linguaggio odierno potrebbe essere definita come un affirmative action4.
Gli oggetti d’arte non vengono valutati con gli stessi criteri, a secondo della loro provenienza da un paese colonizzatore o colonizzato.
Il Surrealismo sosterrebbe un’arte dell’effimero, ma le popolazioni colonizzate non hanno ancora raggiunto lo stesso livello culturale; e questo le autorizza ad un giustificato ritardo estetico.

“Precisamente come i nemici dei nazionalismi si trovano oggi a difendere il nazionalismo degli oppressi, così i nemici dell’arte prodotta dall’economia capitalistica devono dialetticamente opporre ad essa  l’arte degli oppressi ".5

L’evidente parallelismo risiede nel collegamento analogico che può esser tutto tranne che ovvio.
E’ difficile mettere su uno stesso piano l’arte ‘primitiva’ (o ‘arte selvaggia’, come preferisce definirla Breton) con i problemi posti dai paesi colonizzati agli europei internazionalisti; la prima differenza è che questi movimenti sono per necessità contemporanei, se non posteriori, al regime dell’oppressione coloniale contro il quale stavano combattendo.
Ciò non vale per i cosiddetti oggetti primitivi, che fanno parte di una sequenza cronologicamente invertita.
“Primitivo”, secondo una delle definizioni di questo termine molto discusso, si riferisce solo a quegli oggetti e pratiche che risalgono ad un tempo precedente al primo contatto con gli europei.
L’arte del popolo oppresso è necessariamente antecedente alla sua oppres-sione, quindi non può essere considerata come risposta all’oppressione.
Lo stesso volan-tino, involontariamente, descrive gli oggetti andati distrutti nell’incendio come “i più rari e antichi reperti artistici appartenenti a quelle aree”.
Quindi, questo primo argomento serviva solo a decorare la polemica con una patina di estrema sinistra.

Il vero problema e la vera argomentazione sono da cercare altrove.
Qualche settimana prima del rogo dell’Esposizione coloniale, i surrealisti avevano preso una decisa posizione in relazione ad una serie di incendi nei quali erano andati distrutti anche oggetti da alcuni considerati come opere d’arte.
A seguito della vittoria elettorale dei repubblicani, che nell’aprile del 1931 aveva messo fine alla monarchia, la Spagna era diventata il palcoscenico di violenze anticlericali.
Sempre più spesso chiese e conventi venivano dati alle fiamme, mentre il nuovo regime repubblicano, fondamentalmente moderato, cercava di far rispettare la legge, l’ordine sociale e la propria reputazione.
Contro questi pompieri di sinistra, i surrealisti dedicarono un volantino dal titolo:
Al fuoco!” con il quale, rifiutando di essere ricattati da considerazioni estetiche, porgevano il saluto “alla grande fiamma materialista delle chiese bruciate” che illuminava il cielo di Spagna, indicando alla nazione spagnola il sentiero della grande Unione Sovietica.6
Il testo continuava: L’Unione Sovietica, dove centinaia di chiese sono state affidate alla dinamite, ha avviato il processo di trasformazione degli edifici religiosi in circoli dopolavoristici, silos di patate e musei antireligiosi.7
Da questo si ricava che non tutti gli incendi sono uguali. Qualcuno è positivo e altri sono negativi.
Ma come si possono distinguere? 
Dopo aver applaudito ai falò spagnoli, perché non fare lo stesso con l’incendio del padiglione coloniale?
Inoltre, in ambedue i casi si trattava della distruzione di oggetti religiosi. E’ troppo dire che queste due differenti reazioni giustificherebbero anche l’analisi fatta da Caillois?8 >
La risposta surrealista a questo secondo argomento non fu una logica affirmative action.9
Come si fece con la loro arte, non venne detto che la religione del popolo oppresso avrebbe dovuto essere dialetticamente messa in opposizione alla religione radicata in una economia capitalista.
No, bisogna opporsi alla religione in ogni circostanza.
Vi sono buoni feticci ma non un Papa accettabile.
Ciononostante, se la distruzione di quegli oggetti primitivi doveva essere vissuta come una grave perdita, questo era dovuto al fatto che i feticci erano stati defeticizzati, irreversibilmente decon-taminati, desacralizzati.
Decontestualizzati  avevano perduto tutto il proprio valore d’uso assu-mendo unicamente un valore espositivo.
E’ questa la differenza con gli oggetti spagnoli:
I feticci provenienti dalle Indie olandesi sono dotati per noi di un innegabile valore scientifico, e per questa ragione hanno perso qualsiasi dimensione sacra; al contrario, i feticci d’ispira-zione cattolica (come i quadri di Valdès Leal, le sculture di Burruguete, le scatole per l’elemosina della ditta Bouasse-Lebel) non potranno mai essere visti né da un punto di vista scientifico né da quello artistico fino a quando il cattolicesimo avrà dalla propria parte le leggi, i tribunali, le prigioni, le scuole e il denaro; e fino a quando in tutto il mondo le riproduzioni del Cristo opprimeranno con la loro massa tikis e totem".10

Questo mescolamento costituisce “La verità sulle colonie”, la piccola contro-Esposizione coloniale organizzata dai surrealisti, che in una stanza misero in scena oggetti cattolici provenienti dall’Africa presentandoli come “feticci europei” [fig. 2, pag. 15].
Qualche surrealista si spinse addirittura oltre, come Jaques Viot, il quale, in un articolo dal titolo “Non ingombrate le colonie”, affermava che i totem oceanici e i feticci non avevano mai avuto una dimensione religiosa.
Viot era appena tornato dalla Nuova Guinea (dove si era recato alla ricerca di oggetti per il suo principale, il collezionista Pierre Loeb).
I primitivi – scrisse - non credono in Dio. Non hanno una religione. E senza nessuno che lo rappresenti non può esserci Dio. Un Dio non può esistere senza qualcuno che lo loda. Sia nel feticismo che nel totemismo non vi è traccia alcuna di religione”.11
Senza dubbio una tale spietata ossessione anti religiosa sembra – almeno in parte - superata. [...]

[Fin qui, Denis Hollier]

Questo brano è tratto da una trascrizione modificata della conferenza di Denis Hollier tenuta presso la Hayward Gallery e Courtauld Institute of Art di Londra, il 23 e 24 giugno 2006, all’interno del convegno “Il valore d'uso di Documents: Bataille/Einstein/Leiris”. La traduzione è di Gigino Pellegrini. Il testo originale è in www.surrealismcentre.ac.uk. Salvo altra indicazione, le note al testo sono dell’A.

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1 - Ne visitez pas l’Exposition Coloniale [May 1931], in José Pierre, ed., Tracts surréalistes et déclarations collectives Tome I 1922-1939, Le terrain vague, Paris, 1980, 194-95.
2 - Premier bilan de l’Exposition Coloniale [3 July 1931], in Pierre, Tracts surréalistes, 198-200.
3 - Premier bilan de l’Exposition Coloniale, 198.
4 - NDR. L'affirmative action è uno strumento politico che mira a ristabilire e promuovere principi di equità razziale, etnica, sessuale e sociale. Il termine è venuto ad indicare l'operato dei governi di tutto il mondo in materia di giustizia sociale. L'affirmative action si riferisce alle politiche di promozione dell'educazione e dell'impiego di gruppi socio-politici non dominanti, normalmente minoranze o donne. Lo scopo delle politiche di Affirmative Action è di rimediare agli effetti della discriminazione. Gli obiettivi di questo tipo di politica sono raggiunti, normalmente, tramite programmi di reclutamento mirato, trattamenti preferenziali nei confronti dei gruppi socio-politici svantaggiati e in alcuni casi tramite l'utilizzo di quote. (Voce da Wikipedia). Qui l'affirmative action viene richiamata dall’A. per dire che i surrealisti adottano un trattamento differenziato (per non dire privilegiato) per gli oggetti d’arte e di culto provenienti dai paesi colonizzati rispetto a quelli di provenienza occidentale.]
5 - Premier bilan de l’Exposition Coloniale, 198.
6 - Au Feu! [May 1931], in Pierre, Tracts surréalistes, 196-97.
7 - Au Feu! 196.
8 - [NdR] Riteniamo ci si riferisca all’accusa di antioccidentalismo che certa antropologia e etnologia avrebbe ereditato dai propri trascorsi nel movimento surrealista.
9 - NDR. Qui, secondo l’A.,  l'affirmative action, adottata dai surrealisti per valutare differentemente gli oggetti d’arte e di culto a seconda la loro provenienza, non sarebbe utilizzata “logicamente” senza sottometterli poi tutti al medesimo destino, o senza estendere la proposta dell’opposizione tra opere come opposizione tra religioni. E a cosa sarebbe allora servito differenziare, se poi tutte queste belle cose devono fare la stessa fin
e o svolgersi nel medesimo modo?
10 - Premier bilan de l’Exposition Coloniale, 199.
11 - Jacques Viot, N’encombrez pas les colonies, Le Surréalisme au service de la révolution 1, 1930, 43-45; 44.